La perversione del potere
Il film inizia con una scena, su cui scorrono i titoli di testa, di fortissimo impatto visivo. Un lungo piano sequenza, di un paesaggio stradale, virato di color rosso intenso, e in sottofondo la musica della Turandot. Il colore del sangue prefigura una situazione torbida, in un modo romantico, richiamato dalle note di Puccini. Questa visione viene bruscamente interrotta. Si aprono le portiere della macchina e il conducente spegne la radio. La musica non era extradiegetica e l’immagine colorata di rosso trova una sua spiegazione nei finestrini colorati. È la transizione netta nel mondo reale.
Chabrol, anche questa volta, fa un discorso radicale sul potere, in tutte le sue forme. E lo fa mantenendo sempre uno sguardo entomologico, distaccato. C’è il mondo dell’aristocrazia, con i suoi scheletri nell’armadio. C’è poi l’ambiente dei potenti della televisione e dell’editoria. E infine la cerchia degli intellettuali, che pure vengono messi alla berlina. Il romanziere protagonista è un cicisbeo, uno di quei personaggi mediocri che affollano i salotti televisivi. A proposito, sarà un caso che il film citi proprio Andrea Pinketts (autore di un libro consigliato da una libraia)? Per scimmiottare il mondo aristocratico, lo scrittore si è inventato un finto status nobiliare. E la sua villa non è altro che una versione, dal design postmoderno, delle regge patrizie. Su questo aspetto Chabrol indugia a lungo, come quando lo riprende nella vasca da bagno con, sullo sfondo, delle finestre sghembe, da scenografia espressionista.
È un mondo falso e illusorio, quello che gira intorno a questi personaggi. Chabrol si diverte a esibire il dietro le quinte dei programmi televisivi, con le annunciatrici che gesticolano davanti ad uno sfondo di bluescreen, che varrà poi riempito da qualche immagine.
La ragazza protagonista è l’unica ad appartenere ad una classe sociale non elevata. Forse è per questo che vorrebbe far carriera nella Tv. Mantiene comunque una certa ingenuità e innocenza. È un personaggio scisso, la ragazza divisa in due del titolo originale, che ancora una volta i distributori italiani hanno stupidamente modificato. Ancora una volta Ludivine Sagnier interpreta una donna dal fascino conturbante e perverso. Chabrol riesce a infondere un sottile senso di perversione a tutta la vicenda. Come lui stesso ha dichiarato, «la perversità è l’arte di trasformare il bene in male».
Curiosità
La sceneggiatura si ispira alla storia vera di Stanford White, l’architetto che progettò il Madison Square Garden, assassinato nel 1906 dal marito della sua amante. L’episodio è stato raccontato in due film: Ragtime (id., Milos Forman, 1981) e L’altalena di velluto rosso (The Girl in the Red Velvet Swing, Richard Fleischer, 1955).
A cura di Giampiero Raganelli
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