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cultura dell'immagine e della parola

La Stasi – Clone boy

Canzone: Clone boy
Regia: Giorgio Scorza, Davide Rosio
Artista: La Stasi
Anno: 2007

Nonostante lo schieramento di sicurezza, mi ritrovo quasi per caso sulle comode poltrone dell’aula magna dell’università IULM (un non-luogo difficilmente comprensibile da chi come me è abituato alle università bolognesi), per assistere alla serata finale del Premio Videoclip Italiano.

Non faccio in tempo ad accomodarmi che subito viene premiato come Miglior Soggetto un piccolo capolavoro d’animazione di videomusica italiana, un brano dedicato alla vita di Pierpaolo Pasolini: Clone boy dei La Stasi, scritto e diretto da Giorgio Scorza e Davide Rosio.
La qualità grafica, i rimandi all’espressionismo e l’originalità del tratto saltano subito all’occhio e solo quando inizia il cantato in italiano ci si rende realmente conto di essere di fronte ad un prodotto nostrano.

L’intro richiama l’estetica cupa di alcuni lavori burtoniani o di Jamie Hewlett per i Gorillaz, ma in questo video non c’è spazio per scimmioni danzanti: il cimitero è il luogo in cui un padre e una madre stanno sotterrando la bara del figlio.
Tornando a casa la triste coppia si imbatte per caso in una surreale fabbrica di bambini clonati e decidono di essere genitori ancora una volta.

Ma il figlio prodotto dall’occhio del padre (così, il genitore rimane inevitabilmente cieco: non potrà capire mai) non è conforme alle esigenze della società, in cui tutti i bimbi sanno fare qualcosa di utile: il tostapane, il carrello della spesa, il cassonetto della spazzatura…
Il piccolo clone non ama il calcio, a scuola fa disegni strani, taglia e cuce una misteriosa coperta e i genitori decidono che è troppo freak per rimanere con loro, senza capire in tempo che anche il bimbo “not cool” (definizione di fabbrica) aveva un preciso ruolo in quell’assurdo mondo di persone-oggetti.

Clone boy si svolge tutto nella calda espressività di un’animazione fumettistica: un vero e proprio piccolo cortometraggio, già di per sé pieno di significati, che si sposa agli spunti critici del testo, frutto dichiarato di un collage di frasi tratte da scritti di Pasolini.
Il piccolo clone, come il grande poeta del Novecento, soffrono il dramma di non essere accettati e capiti dalla società.

Nel tragico crescendo finale, il riferimento è quello alla morte dello scrittore, ma senza nessun tono composto o compresso: testo e immagini si impastano in un linguaggio semiserio in grado di spiazzare lo spettatore, che riesce anche a sorridere dell’uso censoreo del “bip”.
Una favola nera che finisce per comprendere davvero quel bimbo, miracolo generato da una visione distorta (che, a sua volta, ha la capacità di distorcere tempo e destino), piccola ennesima vittima del sistema.

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