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La polvere magica del cinema

La polvere magica del cinema

Un mondo lontano, misterioso, ma che profuma d’Inghilterra ottocentesca, con le sue chiese gotiche e i giardini verdeggianti. Un’umanità che, come la Grecia di Socrate, porta in sé un daimon: un’immagine della propria anima, una proiezione concreta delle caratteristiche intime di un uomo o di una donna.

Visioni, animazioni, rappresentazioni: La bussola d’oro parla innanzitutto per proiezioni, dal principio, quando Lord Asriel mostra agli accademici e all’ispettore del Magisterium una fotografia animata. Non uno scatto, nemmeno una pellicola narrante, ma un frammento vivo di realtà, che aspira a mostrare ciò che non si vede: la Polvere, la verità.

Così Weitz mette in immagini il primo libro della trilogia di Pullman Queste materie oscure, scritta tra il 1995 e il 2000, che alcuni critici considerano come risposta all’opera di C. S. Lewis Le cronache di Narnia.
Sebbene i legami letterari possano oggettivamente essere considerati concreti, il film di Chris Weitz riesce a rendere cinematograficamente le ideologie di Pullman sui poteri teocratici, sul libero arbitrio, sulla libertà di pensiero.

La bussola d’oro orienta su ciò che non si può vedere, sulle realtà nascoste, dentro le sottili trame invisibili che gli esseri viventi tendono a voler negare.
L’oggetto misterioso e favolistico si accosta così a tutta una serie di caratteri cinematografici di genere, che formano un mondo alternativo, quello fantastico del cinema: il corpo forte di Creig/Lord Asriel ancora alle prese con avvelenamenti da 007; le estetiche militaresche naziste, tra daimon dobermann e divise intruppate; l’immagine anni ‘50 di Nicole Kidman, diva eterna, crudele e affascinante, forse spia (nazista?), forse strega ammaliatrice.

Poi, tutto il potere della computer graphic (cinema che crea dal nuovo una realtà altra rispetto alla corporeità dell’immagine attoriale) che fa nascere un personaggio epico, l’orso corazzato Iorek Byrnison, grandioso, tanto fumettistico quanto lo erano gli spartani di 300; l’evocazione filmica che provoca il volto di Sam Elliot, dove il cavallo del cowboy è sostituito da un pallone aerostatico, ma la pistola a canna lunga, il cappello a tesa larga e lo sguardo da straniero ripetono l’uso citazionistico che ne avevano fatto i fratelli Coen ne Il grande Lebowski.

Infine, fusione totale degli immaginari fantasy: streghe su scope volanti belle e pallide come elfe dall’arco teso, tecnologie avanzate e antropomorfe che imitano la magia, esponenti religiosi complici di scienziati pazzi e torturatori dalle vestizioni anni ‘70 che ricordano i ricercatori di Arancia Meccanica (A Clockwork Orange , S. Kubrick, 1971).
L’aletiometro misura la verità, come dice la parola stessa. La bussola d’oro riflette le diverse rappresentazioni che il cinema fa del mondo. Attraverso quella polvere magica che il fascio di luce nella sala cinematografica riesce a svelare, prima di andare a illuminare lo schermo.

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