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Alla ricerca di sé

Alla ricerca di sé

Scorre leggero Come tu mi vuoi, spensierato ma non scacciapensieri. E’ una pellicola racchiusa in una prevedibile confezione commerciale, come il regista De Biasi è il primo a riconoscere. E forse proprio con l’intento di catturare l’attenzione del pubblico di teenager cui soprattutto si rivolge, il film non risparmia gli eccessi. Perché Giada non è solo trascurata, è troppo trascurata; la sua amica del cuore è troppo sgargiantemente ragazza di borgata, tanto da risultare una specie di cartone animato coloratissimo, una caricatura. E altrettanto finte sono le amiche di Riccardo, smorfiose ai limiti dell’inverosimile: duettano in scambi di battute del tenore di quelle scambiate fra tante Genoveffe e Anastasie scappate fuori dalle pagine della fiaba Cenerentola. E in fondo in fondo Come tu mi vuoi si propone proprio nella veste di una fiaba contemporanea, mascherata sotto le sembianze di una commedia a dir poco graffiante.

La pellicola di De Biasi sottolinea come nel 2007 il buonismo sia decisamente tramontato, e a farla da padrone sia un noir serpeggiante e onnipervasivo. Disvalori alla ribalta, battute malevole o crudeli, atteggiamenti e abiti aggressivi, in gran parte e non a caso di colore nero. Il tutto narrato attraverso immagini patinate come le pagine d’una rivista d’alta moda: viene costantemente inseguita la bellezza, sullo sfondo di una casa da miliardari come quella di Riccardo, nell’atmosfera buia e allucinogena delle discoteche, perfino nello squallore del bagno di una di queste. Le ragazze del ceto di Riccardo sembrano fotomodelle, in contrasto con la protagonista dall’aspetto sciatto e antiquato, che travalica il limite del verosimile. Insomma, in scena ci sono tante streghe malefiche e un brutto anatroccolo pronto a trasformarsi in cigno, al prezzo salatissimo della rinuncia alla propria coerenza e ai propri valori. Un tema di non poco conto, dunque, trattato senza molta delicatezza, nel contesto di un film che cerca sempre e comunque di non perdere il suo lato umoristico, e che spesso riesce anche a farci sorridere. Una miscela non perfettamente riuscita è quella che il regista ha cercato di realizzare fondendo la leggerezza della fiaba a lieto fine con l’impegno della denuncia sociale: quella del consumismo attualmente imperante. Di questo mix si rivela paradigma il personaggio di Hermes, guru della moda: lui stesso si dà le arie di una guida spirituale capace di trasformare le persone, e l’amica Katia lo venera come un santone. Siamo al limite del kitsch quando le sentiamo pronunciare la frase «Ha peccato, ha molto peccato», riferita a Giada che fino a quel momento non si è mai minimamente presa cura del proprio aspetto esteriore. Ecco una dimostrazione di come in Come tu mi vuoi vengano messe in scena questioni importanti, fra cui la condanna dell’odierna “religione della moda e dell’estetica”, facendo uso di tonalità ironiche di gusto non proprio raffinato. E soprattutto alla fine della proiezione viene da chiedersi: quale messaggio resterà più impresso nella mente degli adolescenti che guarderanno il film? Non è da escludere che paradossalmente si imprima in loro proprio l’immagine sbagliata: l’importanza dell’apparire a scapito dell’essere.

Gioca molto De Biasi con questa alternanza di forma e sostanza, magari troppo: è vero che alla fine i protagonisti recuperano i valori positivi ma per farlo… quanta strada è stata necessaria! Del resto il regista lo dichiara esplicitamente: la sua è una commedia cattiva, che non ha una funzione moralizzatrice bensì lo scopo di mettere in scena dei conflitti. Grazie al conflitto, al contrasto, alla crisi, Giada e Riccardo crescono. Per farlo inciampano in tutta una serie di disvalori, mostrandosi allo spettatore nella loro fragilità. Per fortuna alla fine si rialzano, e capiscono che per farsi amare da se stessi e dagli altri non è necessario essere come gli altri li vogliono, ma come loro stessi si vogliono.

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