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Alla ricerca dell’Argento perduto

Alla ricerca dell’Argento perduto

E’ cosa ormai risaputa che il vero Dario Argento sia morto e sepolto, e non riesumabile, da parecchio tempo. Qualcuno fa risalire il decesso al periodo successivo al film Phenomena (1985), altri dopo Opera (1987). Ad assumerne le sembianze, per poterne sfruttare il nome a fini commerciali, è stato probabilmente un ultracorpo o un baccello alieno, le cui capacità registiche non sono minimamente paragonabili a quelle del grande Dario.

Questo è un dato di fatto, ed è ormai inutile versarci ancora lacrime. Il problema nasce quando il simulacro di Argento si deve confrontare con quello vero come nel caso di La terza madre, cui bisogna riconoscere, nonostante tutto, la fedeltà a molti temi argentiani. La presenza di animali inquietanti, in questo caso una diabolica scimmietta, l’omosessualità, che Argento rappresenta con dignità fin dai tempi di Profondo rosso (1975). Il regista poi mette in scena una sua intima autoanalisi, come faceva spesso nel suo periodo aureo, basta pensare a 4 mosche di velluto grigio (1971) in cui l’assassina era la sosia della vera moglie del regista. In questo caso il momento privato è esteso alla famiglia e coinvolge il personaggio interpretato da Asia, che rinfaccia al fantasma della madre alcuni problemi avuti nella sua infanzia. Quest’ultima è interpretata proprio dalla sua vera madre, Daria Nicolodi, e probabilmente il dialogo rispecchia una situazione vissuta realmente dalle protagoniste. Anche alcune magistrali scene madri fanno onore al grande maestro del thriller. Basti pensare a quella iniziale, davvero mozzafiato, dell’uccisione e smembramento della collega di Asia. Ma queste scene non possono riscattare la gran quantità di momenti davvero imbarazzanti, di umorismo involontario, e alcuni considerevoli buchi di sceneggiatura. Come quando si scatena la Terza madre e vediamo una signora impossessata che getta nel Tevere il proprio bambino, palesemente un bambolotto. E che dire della fede nel positivismo e nella razionalità scientifica enunciati da Asia subito dopo aver assistito alla brutale uccisione dell’amica da parte di demoni infernali? E la Mater Lacrimarum che ha assunto le fattezze di una gnoccolona spesso senza nulla addosso? Un po’ di fica non guasta mai, in effetti.

Quello che manca del primo, e vero, Argento sono gli eclettismi di regia, la spasmodica ricerca cromatica, che ebbe come apice proprio Suspiria e Inferno, le soggettive impossibili, i virtuosismi della macchina da presa, l’amore per le architetture gotiche e liberty. Il nuovo Argento è ormai un direttore banale e sciatto. I fan dell’altro Argento, quello vero, aspettavano da una vita la chiusura della trilogia. Ma forse questi non costituiscono un bacino di pubblico interessante, da un punto di vista commerciale, per accontentarli fino in fondo.

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