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All’origine del linguaggio, nel futuro del Cinema

All’origine del linguaggio, nel futuro del Cinema

Quale è il valore del tempo? Quale il segreto della giovinezza? Alla fine di un lungo viaggio, cosa può raccontare l’anima di un uomo? Ma soprattutto, si può arrivare all’origine del linguaggio, quando la struttura idiomatica, prendendo forma, separa l’essere dal non essere e la conoscenza dall’oblio? È possibile scomporre il Cinema, allontanarlo dallo schema significante-significato per poter raccontare anche la materia di cui sono fatti i sogni?

Francis Ford Coppola, produttivamente autonomo, si immerge nella narrazione del difficile quanto appassionante e appassionato romanzo di Mircea Eliade, liberamente ispirato alla vita del poeta rumeno Mihai Eminescu. Ne risulta uno dei film più controversi della sua carriera cinematografica, una pellicola che probabilmente non piacerà alla totalità dei suoi fan, ma che, strizzando l’occhio a Lynch, prova a raccontare un’altra forma di cinema.
L’origine del linguaggio, tema di ricerca del professor Matei – tema che alla fine dell’opera rimarrà per molti aspetti insoluto – sembra infatti tormentare anche il regista newyorkese, che si occupa del linguaggio del cinema: visione, metempsicosi, piani di significato che si intrecciano fino ad estrinsecare un valore unico e ineluttabile.

È possibile svoltare? Fare cinema oltre il narrato? Ridare valore metalinguistico al montaggio? Raccontare sensazioni, colori, profumi, emozioni, il sale della giovinezza e il valore del ricordo, fondamentale per far sedimentare le vite, per lasciare traccia di sé.
Giovinezza che può tornare nonostante gli schemi della vita (occidentale) non lo prevedano, là dove il cinema è passione, è irrazionalità che sfugge ad ogni strutturalismo.
La giovinezza, poi, si accompagna all’amore, che ritorna nel protagonista e che compie un viaggio circolare come l’anima nel credo buddista. “Un’altra giovinezza” è un’altra possibilità, una riflessione matura sui tesori magnifici che rimarranno sepolti al nostro passaggio.

Il protagonista, infatti, avrebbe l’opportunità di concludere la ricerca che ne ha tormentato l’esistenza grazie agli influssi benefici del fulmine che lo ha colpito, ma non lo farà. Prediligerà l’amore, l’unico istinto che non è stato in grado fin lì di analizzare e fare suo nella smania di conoscere. L’amore come sensazione ultima, unica discriminante tra vita e morte, essere e non essere, all’origine dell’uomo. E forse è questo il segreto che cercava Matei. L’impulso base all’origine di tutto, il momento in cui forma ha trovato un nome.

Il regista racconta, ispirato come sempre, i travagli interiori di un personaggio interpretato da un Tim Roth splendido, che lo porteranno all’unico epilogo possibile. Libero dai vincoli delle major, Coppola porta il cinema nel futuro: recuperare l’origine del linguaggio cinematografico, infatti, vuol dire volgersi al cinema che sarà. Un cambio che solo un grande autore poteva fare.

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