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cultura dell'immagine e della parola

Ring! Festival della critica cinematografica 2007

La grande paura partecipando al Premio Ferrero 2007 all’interno di Ring!, 6° edizione del festival della critica cinematografica, non era tanto quella di tornare a casa senza il premio, come è effettivamente accaduto, ma quella di ritrovarmi da sola, com’ero, in mezzo a ragazzi incattiviti e competitivi, critici in miniatura, specchio di un mondo giornalistico adulto che, come capitava all’università, mi avrebbe fatto sentire infinitamente inutile, stupida e senza speranze.

Oggi è domenica, parlo solo dei tre giorni appena trascorsi, ma tutto si è già scolorito. Ricordo l’intervento solista di Morando Morandini che, con forza e con sforzo, architettava un discorso tra l’ironico e il lievemente polemico, contro altri colleghi articolisti, contro un modo di fare critica schiacciato dal culto del giornalista, invece di essere generoso nello sguardo verso il cinema.
Qualcosa stava venendo fuori: i critici presenti a Ring! erano tutti, in qualche modo, arrabbiati e insoddisfatti, costretti alla regole del giornalismo quotidiano (Maria Pia Fusco e Roberto Campagnano ad esempio), stretti nelle poche righe/battute/cartelle che i giornali concedono loro (Morando Morandini, Roy Menarini come altro esempio).

Il mondo della critica sembra soffrire i luoghi del cartaceo, sembra intollerante verso i propri colleghi, sembra amareggiato e nostalgico quando racconta, come ha fatto Gianni Canova, della breve esperienza alla Voce di Idro Montanelli, che, nel 1994, pubblicò la notizia che a Venezia era sbarcato Pulp Fiction: non l’ultima dichiarazione di Rutelli, ma la scommessa su un evento culturale che avrebbe cambiato l’immaginario collettivo, non solo il cinema.
Qui vicino sta il punto. Mentre vedevo comporsi e componevo assieme agli altri un piccolo gruppo di ragazzi del Premio Ferrero, mi stupivo di non essere più sola, ma di essere, al contempo, estremamente isolata.
Dopo Laura Canzian sono arrivati Mauro Buzzi, Piero Verani, Matteo Cavalli, Luca Guaglini, Cristina Gallotti e Gabriele Corrao. Abbiamo messo in comune esperienze e riassunti veloci di vita e di emozioni, abbiamo corso sotto le grandi teste che ci parlavano dal palco e che non ci vedevano, perché le luci erano puntate sull’oratore, non sul pubblico.
Ho compreso che forse il nemico, i critici lassù, non ci volevano lì perché, appunto, non potevano vederci: nascosti, inutili, silenziosi, ruotavamo attorno a Ring! come bambini rimasti fuori dal giro della morte, in attesa che i cancelli aprissero, e gli altri, più veloci e intraprendenti di noi, ci lasciassero spazio sulla giostra.

Ho iniziato a chiedermi se non stessi sbagliando qualcosa: ero lì perché… La domanda iniziava a latitare.
Voglio entrare in un mondo di uomini e di donne in debito di spazio espressivo? In un mondo dove le regole del mercato valgono, punto. La risposta iniziava a diventare più complessa, ma si concludeva sempre con un determinato “sì”.
Il problema era un’altro: voglio entrare in un mondo dove le persone riescono a salire su un palco per parlare, come ha fatto Pier Maria Bocchi, dei termini e delle espressioni da evitare, abolire e condannare nello scrivere di cinema? Un mondo in cui Bocchi sceglie, come gesto didattico, di leggere, nome e cognome, una recensione di Miami Vice arrivata nelle sue mani quando era capo servizio di Nocturno: uno scritto sì ingenuo, probabilmente redatto da una ragazza che non possedeva alcuni strumenti analitici. Ma che funzione costruttiva poteva avere quella lettura irrispettosa, fatta per dimostrare come non tutti possano scrivere di cinema, non tutti ne abbiano le capacità, non tutti ne avranno la speranza, non tutti potranno imparare? E questo per contrapporsi a Gianni Canova che si diceva orgoglioso di firmare l’editoriale di un giornale che accoglie tutti, la famigerata categoria dei “chiunque”.
“Ma chi è chiunque poi non rimane”, aveva detto Canova. Non c’è chiunque su Duellanti. Su Duellanti c’è uno spazio ampio e aperto, c’è spazio di movimento, spazio per l’incertezza.

L’intervento di Gianni Canova è stato diverso da tutti gli altri in un senso: sono state domande e dubbi, è stata rabbia e discorso oratorio, perché parlare in pubblico, come scrivere, è didattica ed è messa in scena. Si percepiva il dolore personale messo in gioco, insieme alla passione per il cinema, che è rispetto. E dal rispetto nasce l’insegnamento, dal rispetto nascono nuovi modi di vedere.

Il punto è qui vicino, oltre il cinema, la critica, l’espressione personale tronfia, l’idolatria stessa del critico per se stesso e per il cinema che “a noi piace”; oltre la carta dei giornalisti e oltre il carisma dei maestri.
Oltre questi tre giorni ho iniziato a chiedermi quando sarà il momento in cui vedrò Hideout come una creatura avente diritto. Nessuno dei critici ha avuto buone parole per il web, ma, d’altra parte, hanno avuto parole malevole sui loro stessi giornali. Canova è stato uno dei pochissimi a parlare di Duellanti con amore e orgoglio, contro le molte critiche che gli sono state mosse in passato, durante il festival e che continueranno anche dopo Ring!

Mi sono chiesta quando mi lascerò credere che quello che faccio qui con i miei compagni ha senso nel mondo, adesso. Quando inizierò a crederci davvero, a non avere vergogna, senza provare quel sentimento nullificante che i giganti della carta, i giornalisti veri, mi hanno insegnato.
Io, Laura, Cristina, Luca, Matteo, Mauro, Piero abbiamo vissuto un momento speciale: lì c’era il punto. C’era il rispetto e la visione di un mondo più ampio oltre il cinema e la sua critica, c’era la condivisione e una sorta di comunione rispettosa. Nessuna idolatria, forse qualche punta di entusiasmo, ogni tanto, perché siamo giovani e inesperti, ma appassionati e ambiamo ad essere completi: oltre il cinema, c’è la politica, il sesso, il mondo là fuori. Ci sono la televisione, i libri, le pubblicità e i videoclip, ci sono le fiction e i telegiornali. Ci sono i critici cinematografici e gli insegnanti di cinema e ci sono anche persone che, con naturalezza e sicurezza, riescono a presentarsi ad un pubblico dicendo, come ha fatto lo scrittore Pietro Grossi: “Io sono la prova vivente che i sogni si realizzano, quindi, se avete un sogno, inseguitelo”.

C’è stato un momento in cui ho sentito il punto vicino a me. Quando Gianni Canova al festival di Bellaria ci diceva: “Ma andate un po’ al mare, invece di stare tutto il giorno a vedere dei film”. Quando gli dicevo che per me aver pubblicato un articolo su Duel era stato molto importante e lui mi rispondeva: “Addirittura?!”. Tutte le volte, sempre, che non sono riuscita a parlargli, ma parlargli di che cosa, poi? Di me, dei miei sentimenti, di quello che faccio o che vorrei fare? Della meravigliosa esperienza di avere avuto lui e gli altri come insegnanti?
Parlargli forse per avere un riscontro, ecco il punto, forse, un ritorno, un’approvazione, un gesto di assenso. Questo cercavo. Il professor Canova non c’è mai stato in quei momenti, non mi ha mai dato soddisfazione. E a Ring! ho compreso l’insegnamento: mi ha lasciato libera. Libera dalla sua influenza, libera dal suo giudizio. A lui non importa giudicarmi, io sono altro. La didattica universitaria basta, metodo e passione hanno trovato una collocazione mobile dentro di me.
Che cosa diventa un giornalista di cinema che lascia credere alla sua studentessa di avere un potere di giudizio sul suo operato? Su quello che farò qui ad Hideout e altrove? Diventa un faro potente, che rischia di bruciare tutto, quando sale su un palco. Che rischia di creare adepti invece che giovani pensanti.
Il punto un attimo fa era qui, ora non so più.

Tutto improvvisamente è diventato relativo ed estremamente importante. Matteo Cavalli ha vinto il primo premio per la recensione del film L’aria salata. Ci ha detto, mentre festeggiavamo per le strade di Alessandria, lontani in quel momento dal cinema e dai suoi critici, vicini tra di noi forse per l’ultima volta: “Sono felice, molto, però mi vergogno di questo premio”.

C’è molta strada da fare e un’immensa voglia di capire. C’è una nuova consapevolezza in questo momento, che scrivere non mi riguardi più molto, che ci sia un’etica qui dentro da scoprire, che la delicatezza di quello che stiamo facendo, perché lo amiamo e perché vogliamo una possibilità di interpretare il mondo, stia in bilico tra la gioia e la vergogna, tra la soddisfazione personale, l’impegno e la moralità.
Voglio abbandonare l’idolatria dei critici cinematografici per studiare, imparare, guardare, guardare tanto, lasciarmi incuriosire e riempirmi di dubbi e domande ancora e ancora.

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