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Controfigure calcistiche

Controfigure calcistiche

Che il confine tra sport e spettacolo sia molto sottile lo si capisce appena ci si affianca ad una qualsiasi rappresentazione sportiva. Di per sé, già i concetti di “rappresentazione” o “evento” stimolano la visione di uno spettacolo, di uno show con flash commenti rumorosi. Ragionando in questi termini, il calcio non sembra uno sport fatto (non stra-fatto) solo per il divertimento: sì, il pubblico si diverte, ma talvolta è difficile interpretare ciò a cui assiste, ciò per cui paga, ciò che guarda. Un po’ come al cinema o come durante il secondo capitolo di Goal! (2005), trilogia nata per stuzzicare (come se ce ne fosse ancora bisogno) l’attesa dei milioni di appassionati di calcio prima dei Mondiali di Germania 2006.

Verrebbe da chiedersi in quanti abbiano visto il primo episodio (c’è chi dice che ha avuto pure successo), ma al di là di questo, è curioso notare che tra attori “veri” e attori “finti” le differenze siano ridotte al minimo. Forse perché nella realtà gli stessi calciatori si sentono attori di uno spettacolo fittizio, con tanto di “Golden Foot”, la passerella monegasca che assomiglia tanto a quella di Sunset Boulevard. Forse perché non stupisce più vedere i calciatori dietro le telecamere, forse perché la star per antonomasia di questo speciale star-system, David Beckham, è approdato ad Hollywood mascherato da calciatore, con intenzioni imprenditoriali ben più redditizie. Forse, infine, perché come ha detto l’amministratore delegato del Milan, Galliani, il Pallone d’Oro dovrebbe avere pure una seconda edizione dedicata alle glorie, una specie di Oscar alla carriera, tanto per esplicitare l’elenco delle affinità tra i due mondi.
Niente di nuovo o di scandaloso, quindi, ma in Goal II ancora una volta si fa la barba al palo e si sfiora con ingenuità l’intenzione trainante dell’intero progetto: raccontare la favola di un calciatore povero, talentuoso, espatriato in Inghilterra, che viaggia con la borsa piena di sogni e che finalmente approda al Real Madrid, a lottare per la Champions League.

La confezione è ancora una volta un grosso spot pubblicitario Adidas, ma i risultati non sono nemmeno paragonabili alle stesse divertenti gag realizzate dall’azienda nei suoi spot pubblicitari. Quelli sono da sempre esempi concreti di una fusione affascinante tra sport e spettacolo, mentre Goal II è la brutta copia di un mestiere che colpisce il pubblico sui campi di calcio, negli stadi e sui pochi album di figurine rimasti, non fuori, tra veline e Billionaire, tra megagossip e ricatti fotografici. La trilogia ha scelto la strada più noiosa, ma anche la più furba, quella più redditizia, ma meno epica. Probabilmente la strada che interessa di più un certo tipo di consumatore. Non allo sportivo.

Curiosità
Il terzo capitolo, se mai si farà, dovrebbe raccontare la storia di Santiago alla conquista della Coppa del Mondo. (Ma forse le cose potrebbero cambiare, visto il passaggio di David Beckham ai Los Angeles Galaxy). Santiago potrebbe chiudere la sua carriera nella squadra del suo idolo e della città da cui è partito, chiudendo così il cerchio. Per ora è solo un sogno. Anzi, un mezzo incubo.

Fimografia
Vivere un sogno (2007)
La maschera di cera (2005)

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