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Erba, i giorni dell’odio

Parliamone pacatamente, con serenità.
Per una volta non alziamo i toni più del dovuto, non gridiamo allo scandalo e magari lasciamo da parte i moralismi da due soldi che tradizionalmente accompagnano il passaggio sui teleschermi della cronaca più nera (dallo scandalo pedofilia raccontato ad Annozero ai plastici di Cogne con i quali si balocca abitualmente Vespa).
A prescindere dalle valutazioni soggettive sul buongusto e dalle considerazioni di ordine legale che ne hanno quasi bloccato in extremis la messa in onda, prendiamo questo Erba, i giorni dell’odio per quello che è: un semplice tentativo di produrre dell’infotainment innovativo. Sostanzialmente fallito.
Contro l’iniziativa di Matrix (per l’occasione promosso in prima serata) si sono schierati sia gli avvocati dei coniugi Romano che i parenti delle vittime, la famiglia Castagna. Forse sarebbero bastati un pizzico di buonsenso e qualche considerazione di ordine prettamente televisivo.

Partiamo dal dato di fatto più evidente tra quelli emersi dalla visione del programma. La noia. L’impressione era quella di assistere a una maratona di UIltimo minuto (Rai tre, dal 1993) depauperata di ogni stilla di suspense. Due ore di una lunghezza lancinante, portate avanti a un ritmo che definire blando è eufemistico.
D’altra parte la storia la conosciamo tutti, visto che ha occupato i titoli dei giornali e i servizi dei TG per più di un mese. La fiction, da questo punto di vista, non aggiunge nulla.
Di fronte a questa mancanza in termini informativi, ci si aspetterebbe quantomeno della tensione emotiva, un certo lavorio allo stomaco dello spettatore. Invece no, nemmeno questo.
Come lo stesso Enrico Mentana ha annunciato introducendo il filmato, si trattava di una ricostruzione a basso costo e realizzata in tempi ristretti. Alla prova dei fatti un prodotto raffazzonato, come hanno testimoniato i dialoghi didascalici, le interpretazioni semplicistiche e lo sviluppo narrativo claudicante (terrificante in particolare l’espediente iniziale del confronto tra pubblici ministeri).
Non per infierire, ma se si docufiction si è trattato, qui si è preso il peggio dei due generi: gli elementi documentaristici hanno reso il format freddo, quelli finzionali l’hanno reso posticcio. Alla fine la parte più sensata della trasmissione è risultata quella conclusiva, con gli ospiti in studio per un dibattito di approfondimento che comunque arriva a oltre sei mesi dal delitto e in un momento in cui la storia sembra avviarsi verso il dimenticatoio. Una tavola rotonda che senza il traino pubblicitario dato dalle polemiche che hanno investito fiction sarebbe passata decisamente in sordina.

Ad accrescere la perplessità del pubblico (quantomeno la mia), la scelta da parte degli autori di incentrare l’intera fiction sui Romano, lasciando sullo sfondo quelle che potevano essere le motivazioni e i background degli altri protagonisti della vicenda.
Sebbene la voce narrante sia quella del maresciallo Finocchiaro, a capo delle indagini sul caso, il punto di vista prevalente è sempre quello dei due assassini. Una visione distorta, paranoica e meschina, che però assume un peso particolare se enfatizzata attraverso i flashback e l’uso di una prima persona che [img4]inevitabilmente produce immedesimazione. Riflettendoci a freddo e astraendo i meccanismi narrativi da ciò che è realmente accaduto, si può sintetizzare la sinossi di questa fiction come “la storia di due coniugi di mezza età che perdono il controllo dopo essere stati privati del sonno per mesi e aver ricevuto una multa da oltre tremila euro per aver reagito in modo eccessivo”. Un inferno privato che presentato in questi termini risulta indubbiamente agghiacciante, ma che per certi versi pare più eccessivo e spropositato che non incomprensibile (sia ben chiaro che questa è solo l’impressione che ho ricavato dalla visione del programma e non la mia opinione sull’accaduto).
Un effetto di senso a dir poco preoccupante per un esperimento televisivo che – soprattutto in questa forma – non pare il caso di ripetere.

Curiosità
Le musiche di Erba, i giorni dell’odio sono state composte da Cesare Cremonini.

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