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cultura dell'immagine e della parola

Cannes Lions 2007
Secondo giorno

Secondo giorno di Festival Internazionale della Pubblicità. Ho partecipato a tutti i seminari ed ho visto alcuni screenings delle varie categorie di spot che competono per il Grand Prix. Potrei descrivere la mia giornata, quello che ho visto e sentito, le innovazioni tecnologiche, il cambiamento dei vari trend pubblicitari. Potrei farlo, sì, ma ho deciso di scrivere qualcosa di diverso. Ho deciso di guardare questa manifestazione da un punto di vista maggiormente critico, quello che sento manchi nel mondo pubblicitario. Il resto lo potrete trovare nelle altre riviste specializzate in comunicazione.

Il Festival di Cannes è l’auto celebrazione della pubblicità. Si badi bene, però, non con sfarzo e con troppa risonanza, ma un evento mondiale relegato pur sempre ad un ruolo marginale. È un mondo a parte, che ha i suoi miti, varie generazioni di guru, ma tutto rimane rinchiuso e protetto nelle mura dorate del Palais du Festival. La pubblicità rappresenta e cerca di riflettere esclusivamente su se stessa. E per fare questo chiama da tutto il mondo grandi esperti – a dir la verità sono prevalentemente componenti delle agenzie media, i creativi forse hanno istituito un Festival parallelo a Nizza – che parlano tutti, inesorabilmente, della stessa cosa: la digitalizzazione ed il cambiamento dei media, quali i pericoli e quali le opportunità di questo cambiamento.

Non si parla d’altro e, sinceramente, credo di aver ben capito questo particolare concetto. L’ho compreso talmente bene che mi viene da domandarmi se la pubblicità, in fondo, non abbia una folle paura del cambiamento e che parlandone e parlandone non finisca per sminuirne le potenzialità e rinchiuderlo nel ridotto mondo del “già sentito”. Solo qualche esempio sparuto di vera innovazione e di vera creatività compare, solo ogni tanto, ai miei occhi: come la nuova incredibile modalità di advertising, che sfrutta l’ampliamento delle potenzialità sensoriali. Non sembra possibile, ma presto, quando andremo al cinema e ci sottoporremo ai soliti venti minuti di pubblicità prima del film, potremo anche sentire gli odori dei prodotti. Oggi il proiettore rimandava l’immagine di una spiaggia bianca e il suono era quello delle onde del mare. L’odore? Un profumo penetrante di crema solare Nivea. La pubblicità è riuscita ad arrivare anche all’olfatto e questo grazie a semplici impianti di condizionamento dell’aria.

Ma mi continuo a chiedere perché non ci siano rappresentanti di aziende che non siano semplicemente i Direttori Marketing delle stesse. Non capisco perché il mondo in generale non sia stato ben informato di quest’evento. Perché non ne sia al corrente. Certo, questo Festival è una manifestazione di settore, che non riguarda i normali consumatori. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Se questa fosse la reale spiegazione, allora anche il Festival del Cinema, tanto amato e tanto seguito dalla stampa internazionale, dovrebbe essere relegato a puro evento di settore. Dal punto di vista tecnico, infatti, anche nel cinema il consumatore è uno semplice spettatore, proprio come nella realtà pubblicitaria. Certo, le due realtà non sono sovrapponibili, però è giusto accostarle e riflettere sull’immagine e sulla posizione che la pubblicità vuol dare di sé.

A me sembra semplicemente che la pubblicità cerchi in continuazione di proteggersi dal mondo esterno. Di rinchiudersi in una rocca difensiva che non si possa minare alle fondamenta. Alla pubblicità e, soprattutto, ai pubblicitari non piace essere criticati. Sebbene questa manifestazione decreti vincitori e vinti, sono comunque sempre tutti all’interno di un mondo ovattato di cui il resto del mondo sa ben poco e all’interno del quale tutti si conoscono e tutti sono amici, o quasi. Dunque, sembra che siano gli stessi pubblicitari a voler mantenere ben vivo il regno e il mito dei Persuasori Occulti.

Le contraddizioni della pubblicità, certo, sono difficili da spiegare. I pubblicitari, i creativi, devono mantenere un’immagine di sé che, spesso, non gli appartiene. Si vestono casual in jeans e maglietta, oppure cercano di farsi notare con accessori stravaganti. Il regno della mente, poi, li porta a far finta di essere poveri – del resto la crisi economica dura fino dal 1992 -, ma poi lavorano con budget così importanti che è difficile pensare che nulla arrivi anche a loro.

Il Festival, dunque, in questi primi giorni è un po’ trascurato. Si lascia che le persone siano vestite male, non si fa caso se mettono i piedi sulle sedie o se, durante le rappresentazioni, qualcuno si beve anche un caffè. La premiazione stessa è eseguita in veri propri tempi da record, si potrebbe dire che viene rispettato un perfetto stile pubblicitario. Insomma, tutto sembra raffazzonato e caotico.

Le stesse programmazioni dei film in gara per il Grand Prix finale non sono di grande qualità. Sicuramente, quando venerdì usciranno le short list il mio giudizio cambierà, ma degli spot che ho visto oggi solo pochi meritano un commento. E questo perché si lascia che le agenzie di comunicazione mandino i loro lavori indistintamente e che non ci sia un minimo di selezione preliminare. Un grande merito va sicuramente alla creatività dei paesi emergenti che, in qualche caso – come in quello cinese -, porta alla ribalta idee originali. Esse, però vengono continuamente sfruttate e ripetetute, esaurendone, così, le caratteristiche positive. Tutto viene proiettato e i fischi, a questo punto, sono d’obbligo.

Degli italiani, poi, è meglio non parlarne. Oggi è stato assegnato il primo bronzo all’agenzia Arnold Worldwide Italy, per la campagna di Direct Marketing Voodoo Kit. Ma, per il resto, siamo in gara solo con pochi lavori rispetto alle altre nazioni. Purtroppo, siamo agli ultimi posti. E bisognerebbe chiedersi perché.

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