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Back in the Usa

Back in the Usa

Come together
Usa contro John Lennonnon è il primo, né probabilmente sarà l’ultimo documentario in cui uno o più cineasti dichiarano il loro amore, se non altro conoscitivo, a una personalità di spicco della storia della musica: David Leaf e John Scheinfeld, guidati da una passione certo viscerale per l’opera del leader dei fantastici quattro di Liverpool, dovevano essere ben coscienti che, imbarcandosi in un lavoro che riguardasse John Lennon, le difficoltà si sarebbero quasi automaticamente moltiplicate, da un lato per la mole di materiale, lavoro, dicerie, interviste, opinioni e misteri che avvolgono la vita di Mr. Imagine, dall’altra per il rischio effettivo che retorica e snobismo intellettuale avrebbero potuto inficiare irrimediabilmente il lavoro di ricerca che i registi si prefissarono di operare, ovvero la scoperta del lato più politico e controverso del musicista. Fortunatamente per il pubblico, i due autori hanno centrato il bersaglio: cogliendo appieno la dottrina non soltanto di Lennon, ma in un certo senso di un periodo che ebbe nelle grandi contestazioni ben più di una caratterizzazione, è stato portato sul grande schermo un film capace di toccare e scuotere gli animi così come la voce, i versi e le azioni di uno degli artisti più controversi dell’era Nixon (e non solo). La forza dell’arte come idea contro la pratica del sospetto quasi orwelliano esercitata – ma, doveroso ricordarlo, non avvenne solo rispetto a Lennon – sull’uomo che, allora, memore di un’infanzia e di un’adolescenza che pare eufemistico definire travagliate, mosso dagli stimoli di guerra, amicizie, conoscenze e riflessioni, si fece carico di un messaggio che andò di gran lunga oltre ogni aspettativa e immagine di quello che una semplice canzone pop potesse essere. La Cia e il Presidente Nixon contro i ragazzi della grande manifestazione di Washington, missili e chitarre, la sala ovale e il talamo nuziale di John e Yoko. Il tutto, per una volta, mostrato, pur con la coscienza che ancora manchi qualcosa, e che la verità sia sepolta con il cantautore – e chissà, forse anche con l’ex Presidente -, nel più diretto, coinvolgente, esaustivo e tecnicamente ben realizzato modo possibile.

Tomorrow never knows
Due passaggi paiono fondamentali, per la costruzione del climax dell’intera pellicola, ottimo e funzionale mosaico che vede sfilare sul grande schermo, tra gli altri, oltre, ovviamente, allo stesso Lennon e Yoko Ono, i giornalisti Gore Vidal – che non manca di citare un parallelismo Nixon/Bush – e Carl Bernstein, coautore dell’inchiesta che portò allo scandalo Watergate, Ron Kovic, ex marine autore del ben noto Nato il quattro luglio che Oliver Stone trasformò in un film e Gordon Liddy, ex membro dello staff di Nixon: il concerto tenutosi il 10 dicembre 1971 e la commovente veglia funebre organizzata a Central Park dopo l’uccisione dello stesso Lennon, avvenuta a New York per mano di uno squilibrato l’8 dicembre 1980. Il primo, probabilmente, è stato fonte d’ispirazione per i due registi rispetto alla realizzazione di questa stessa pellicola, fondamentale passaggio non solo simbolico a proposito dell’importanza che la musica andava prendendo all’epoca delle grandi contestazioni, e definitivo abbandono, da parte di Lennon, delle antiche vestigia di pop star e idolo delle ragazzine dei tempi di Twist and shout: per la prima volta, infatti, a seguito di una protesta promossa dal cantautore nel corso del concerto, John Sinclair, attivista politico incarcerato per questioni di droga, viene scarcerato dal governo statunitense che, da quel momento, sotto le pressioni dell’amministrazione Nixon, iniziò a operare affinché l’artista, inglese di nascita, fosse costretto a una vera e propria battaglia legale legata al possesso della Green Card, la tessera che permette la residenza di uno straniero sul suolo statunitense. Una lotta sotterranea e non solo, durata cinque anni ma che non riuscì a scalfire l’importanza del musicista che, nel frattempo, aveva accresciuto la sua fama fino a sfiorare il mito, e incarnare, non solo nei testi delle sue canzoni, l’ideale che milioni di persone in tutto il mondo lottavano per affermare. Un ideale apparentemente distrutto da quel tragico 8 dicembre 1980 che, già nelle immagini della veglia di Central Park, pare assumere le connotazioni di una ferita che possa servire alle generazioni future per ricordare l’importanza della protesta e della lotta, dei diritti e della forza, espresse tutte, e mai così intensamente nella storia recente occidentale, dalla filosofia della non violenza e della partecipazione.

Curiosità
Ron Kovic, veterano autore del romanzo Nato il quattro luglio, fu interpretato, nel già citato film diretto da Oliver Stone, da Tom Cruise. La vicenda di Carl Bernstein e Bob Woodward, i giornalisti del Washington Post che diedero inizio allo scandalo Watergate, fu portata sullo schermo nel 1976 da Alan J. Pakula, e i due giornalisti furono interpretati, rispettivamente, da Dustin Hoffman e Robert Redford.

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