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Il super io di Eddie Murphy

Il super io di Eddie Murphy

Da sempre Eddie Murphy ha fatto della fisicità il suo principale cavallo di battaglia. Prima la sguaiata inconfondibile risata, poi il camaleontico volto capace di realizzare una gamma di espressioni realmente impressionante. Così è diventato il re della contemporanea black comedy americana. Poi, in un ormai lontano 1996, alla disperata ricerca di far rinascere una carriera da sempre caratterizzata da repentini alti e bassi, scopre un’altra possibile arma vincente: il trasformismo. Lui è bravo a mutare espressioni, gli effetti speciali e la computer grafica hanno raggiunto un ottimo livello di specializzazione: il gioco è fatto.

Ne Il professore matto (The Nutty Professor, Tom Shadyac 1996), interpreta sette ruoli: il film è passabile grazie al virtuosismo di Murphy, ma già i segnali che si è sulla cattiva strada sono tutti presenti. Poi nel 2000 ci riprova con La famiglia del professore matto (The Nutty Professor II, Peter Segal, 2000). Ormai è palese quanto intollerabile sia il personaggio tuttofare che Eddie Murphy si è creato. Ma, se a qualcuno fosse rimasto il dubbio che non si poteva scendere ancora più in basso, ecco Norbit, in cui Murphy, pur limitandosi a interpretare “solo” tre ruoli, è realmente esploso in tutto il suo egocentrismo. E peccato, visto quanto bravo era stato pochi mesi fa in Dreamgirls (id., Bill Condon, 2006), per cui aveva sfiorato l’Oscar. Il problema di questa pellicola è invece che tutto è, assolutamente e completamente, creato attorno al personaggio di Murphy, al suo eclettismo, al suo esibizionismo, alla sua voglia di apparire. Che eccede e si fa esagerazione.

Non c’è regia, non c’è un buon plot narrativo a supportare un film che vive solo ed esclusivamente delle gag del protagonista, a cui stanno accanto una serie di impotenti co-protogonisti. Volgarità piuttosto triviali e davvero di bassa lega si fanno spazio a grandi mani in un vuoto assoluto che questa pellicola ha in sé. Completamente inutile. Massimo esempio di vacuità cinematografica. E se poi il pensiero va alla vera e pura blackexploitation cinematografica anni settanta, oltre alla noia può venire anche un po’ di rabbia.

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