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Ho voglia di cinema italiano

Ho voglia di cinema italiano

Anche la critica più autorevole e referenziata sta spendendo fiumi di parole su questa nuova commedia adolescenziale / sentimentale, tratta dal best seller di Federico Moccia e costruita perfettamente addosso a Riccardo Scamarcio, dal già non incoraggiante titolo Ho voglia di te. Con Marco Giusti in prima linea che si schiera fortemente a favore della pellicola contro la puzza sotto il naso di tanta critica aulica. È vero, nel complesso il film regge: è ben strutturato e ritmato, un meccanismo perfetto che non lascia mai niente al caso, che non permette a nessun ingranaggio di incepparsi neppure per un attimo.

C’è però una differenza di base che probabilmente è sostanziale: un prodotto cinematografico è cosa ben diversa da un’opera cinematografica. E se Ho voglia di te appare innegabilmente prodotto perfetto, per vendere, per far accorrere al cinema orde di ragazzine, per far sognare a occhi aperti adolescenti un po’ superficiali, l’opera filmica sembra davvero abitare da un’altra parte. Dove c’è il talento, l’urgenza di comunicazione, la voglia di sperimentazione. Pecca maggiore del film sembra comunque proprio la parte contenutistica e narrativa: niente di scomodo, nessuna voluttà di far riflettere o quanto meno divertire, ma un qualcosa di preconfezionato dopo aver studiato il target di riferimento ideale. E allora giù con banalità a profusione, facili riferimenti e allusioni, comodità morali e immoralità sdoganate. Una commedia che si vorrebbe una sorta di educazione sentimentale, ma che invece è una mera e, fortunatamente, parziale fotografia dell’italietta di oggi. Forse è proprio l’incredibile potenza d’immedesimazione generazionale che questo film (e il precedente Tre metri sopra il cielo) hanno creato, a lasciare attoniti. Racconti di amori impossibili, eterni, sono sempre esistiti, dai tempi dei tempi, tanto al cinema come nella letteratura. Il fatto che idoli di oggi siano personaggi come Step, Babi e Gin (già questi nomi la dicono lunga!), vacui e incolti, fondamentalmente noiosi, lascia l’amaro in bocca. Luoghi comuni a volontà, clichè ormai visti e rivisti, nessuna presa di posizione da parte del regista: questi gli snodi fondamentali della pellicola.

E se i film di Raffaello Matarazzo, tirati in ballo appunto nella diatriba fra la critica specializzata, forse non avevano niente di troppo meglio cinematograficamente, c’era però in loro un’ingenua e sana genuinità e spontaneità di fondo che quanto meno li rendeva più simpatici.

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