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cultura dell'immagine e della parola

Metti un’estate nel Queens…

Metti un’estate nel Queens…

Certe volte, nella vita, il principio è la fine. Certe volte, i film assomigliano alla vita. Una di queste volte Dito Montiel passava di lì, e ha lasciato che il Cinema si accostasse alla sua autobiografia e le andasse vicino, così vicino da non distinguere più il punto di stacco tra la realtà vissuta e la celluloide. Spesso l’autobiografia è un fardello ingombrante in un’opera filmica, ma non è il caso di questo esordio, che riesce a far trasparire la sua provenienza letteraria senza tradirla, e senza annoiare lo spettatore.

Per Montiel i ricordi hanno preso la forma di cicatrici, che hanno a loro volta preso forma di parole, che sono rimaste lì, sovrapposte all’immagine e ad essa necessarie, stralci di dialoghi, pezzi di materia-libro. Parole pronunciate un’estate ad Astoria, nel Queens, da ragazzi e ragazze immersi in un contesto culturale e sociale che li vuole sporchi, sboccati, balordi. Ma più che altro sono sbalorditi, come possono esserlo solo gli adolescenti quando si spingono a guardare un po’ in là e quel che vedono gli va stretto: la strada ha le sue leggi, ce lo hanno insegnato Scorsese e De Niro, e qualcuno di quei ragazzi sa già, in cuor suo, come finisce la storia.

Ma non è il cosa, in effetti, è il come: una struttura fatta di incastri perfetti e pregni di senso, un’ottima colonna sonora, una regia capace di star dietro al dolore, ai dettagli, alle atmosfere. E soprattutto un gruppo di attori straordinari, eccezionalmente diretti: Robert Downey jr (che ha scoperto il libro e fortemente voluto il film) è da urlo, e Chazz Palminteri gli fa compagnia nei panni del padre Monty. Insieme a loro una schiera di nuove talentuosissime leve (Channing Tatum, Shia LaBeouf, Peter Tambakis), che prestano i loro volti alla voglia di fuga dell’adolescenza, alla delusione dei sogni infranti e dello smembramento di un gruppo. Di quelli che sognavano la California, solo uno ci è andato davvero, lasciandosi tutto alle spalle. O forse no: anche per Dito Montiel c’è il tempo del ritorno, uno dei livelli del film, un tempo di nostalgia ma senza le trappole della nostalgia, un tempo finalmente di comprensione. C’è ancora un padre, c’è ancora un amico, c’è forse ancora tempo per capire il perché della lontananza e del silenzio. Per dirla con lo scrittore, «Io ho lasciato tutti, ma nessuno ha lasciato me».

Curiosità
Sting figura tra i produttori esecutivi di questo film, che si è aggiudicato il premio della 21ma settimana internazionale della critica a Venezia 2006.

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