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cultura dell'immagine e della parola

Una parte per il tutto e il tutto per una parte

La ricerca della felicità canta l’eroicità dell’essere umano, che è riuscito a rialzarsi dalla miseria e a giungere al successo con le sue sole forze. Niente di nuovo ma comunque, fin qui, tutto bene. I problemi, analizzando il libro e il film, sono il come e il cosa: lo svolgimento e l’obiettivo ultimo di questa ricerca.
Mentre Chris Gardner racconta, nel suo romanzo autobiografico, di tutta la propria vita, il film ripercorre solo la parte finale della storia, quella della caduta più profonda e dell’ascesa decisiva del protagonista, dapprima finito nel nutrito club degli homeless reaganiani, poi elevato alla condizione semidivina di broker finanziario.
L’obiettivo di tutto appare la ricchezza. I soldi sembrano sul serio far trovare la felicità, tutta la felicità (e nient’altro che la felicità?). Meschino forse, tuttavia il regista (forse non proprio libero di fare le sue scelte) decide di rappresentare solo quel periodo di vita di Chris che sfocia nel successo economico e, su gran parte del libro, sulle difficoltà concretissime della vita nel ghetto – fuori e dentro le mura di casa – si glissa.

Il film sballotta gli spettatori: le tragicissime, fantozziane sfortune del protagonista si accumulano senza apparente speranza sullo schermo. Poco rimane dei tre decenni analizzati da Gardner, della sua infanzia, dell’adolescenza e dell’obbiettivo di costruire una famiglia (proposto, questo, in maniera azzeccata, con la “casa” caricata interamente su un passeggino).
Anche il raggiungimento dell’incredibile successo risulta compresso in pochissimo tempo e raggiunto troppo fortunosamente. Gardner svela più a fondo l’incredibilità di tutta la vicenda, e permea il libro di argomentazioni più pacate e ragionate, che affondano in un legittimo resoconto storico-politico degli ultimi trent’anni made in Usa. Di contro le corse di Will Smith visualizzano la dinamicità del film, che si evidenzia come un inno al self made man americano. E tuttavia cade nella sua corsa verso il pubblico.
Il regista Muccino sembra esistere solo come nome sui manifesti. La sceneggiatura, peraltro non sua, non brilla, e si basa sul già detto. La musica a più riprese ammutolisce, così come la fotografia, che risulta troppo ridotta ai soli interpreti per una città che possiede il fascinoso profilo di San Francisco (non a caso riprodotto sulla copertina del libro). La recitazione di Will Smith possiede la sua peculiare concretezza e si adatta perfettamente al nero del ghetto che ce l’ha fatta. [img4]Tuttavia il resto del cast, a partire dalla bella Thandie Newton, è sminuito da un copione striminzito sul piano dell’offerta espressiva.

Il libro si difende per la positività del protagonista: l’amore disperato per il figlio sostiene per trecento pagine un’incrollabile tensione alla reale felicità. Il mondo di Chris, il mondo afroamericano, è profondamente esplorato, quasi spiegato al lettore che, nel caso nostrano, è mediamente sprovveduto riguardo a questa variegata cultura.
A Muccino forse non è bastato il budget di cinquantacinque milioni di dollari per trovare, cinematograficamente parlando, la sua felicità.

La ricerca della felicità, romanzo di Chris Gardner, 2006
La ricerca della felicità, regia di Silvio Muccino, 2006

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