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Intervista a Paul Verhoeven (seconda parte)

Come mai all’epoca ha concepito Soldato d’Orange come un film eroico anziché come un film più realistico come Black book?

Bè, all’epoca non avevamo la sceneggiatura di Black book! Il romanzo di Erik Hazelhoff Roelfzema era in quei giorni particolarmente popolare, avevamo il sostegno della Casa Reale e dell’Esercito e dunque era facile realizzarlo finanziariamente. Gerard ha letto il libro quando stavamo lavorando a Fiore di carne. L’idea era di farne una serie televisiva. Quando abbiamo proposto al produttore Rob Houwer il nostro progetto di un remake di De donkere kamer van Damocles (La camera oscura di Damocle)- un film che sarebbe stato più vicino a Black book che Soldato d’Orange – Rob non ha mostrato molto entusiasmo. Dunque ha proposto di provare a far diventare Soldato d’Orange un lungometraggio. Durante le ricerche svolte con Gerard, abbiamo scoperto strani eventi accaduti all’Aia durante gli ultimi anni della guerra. Tali eventi riguardavano gli ufficiali Muntz e Frank del Sonderkommando. Non erano storie adeguate per Soldato d’Orange, ma successivamente sono state rielaborate per Black book.

Quanti documenti ha consultato insieme a Soeteman per il film?

Tra i 700 e gli 800, nell’arco di quasi quarant’anni. Nel 1967 ho fatto una ricerca per il documentario televisivo Portet van Anton Adriaan Mussert (Ritratto di Anton Adriaan Mussert). Jacob Zwaan, all’epoca archivista del RIOD (Istituto Statale per la Documentazione della Guerra), mi ha segnalato il rapporto Kamptoestanden (Stato dei campi di lavoro) del Pastore Van der Vaart Smit, che è stato un testimone oculare. Nel rapporto, alcuni dei prigionieri raccontano le condizioni vergognose in cui hanno vissuto e il terrore dei campi di lavoro. Alcune storie ci hanno dato l’ispirazione per Black book. Per quanto ci riguarda, il film è volutamente provocatorio. Nessuno ha mai detto prima dei trattamenti riservati ai nostri prigionieri nel 1945. Oltre ai racconti scritti, esiste del materiale fotografico impressionante che ritrae ad esempio i guardiani dei campi o i membri del BS, e anche i cosiddetti partigiani. Anche nella Resistenza c’era della gentaglia. A vedere le loro immagini mentre catturano i nazisti olandesi, viene da pensare: non vorrei mai finire nelle mani di quella gente.

Anche Rachel Steinn e Ronnie sono state ispirate a persone realmente esistite?

Rachel nasce dalla combinazione di più personaggi: le partigiane Esmée van Eeghen e Kitty ten Have e l’artista Dora Paulsen. Il personaggio di Ronnie è invece totalmente fittizio, anche se all’epoca le ragazze come lei non erano rare: estremamente ingenua, facile preda dei cambiamenti politici. C’era gente così da entrambe le parti: anche il partito nazista olandese aveva dei sostenitori totalmente acritici. Non mi riferisco a quanti hanno creduto opportuno associarsi al partito nazista olandese nel 1941, ma a quelli che erano iscritti già nel 1933: coloro i quali avevano sacrificato tutto alla causa tedesca e per questo vi aderivano ancora più fermamente.

In che modo ha condiviso con Soeteman il lavoro di scrittura della sceneggiatura?

Gerard è il fautore della struttura e delle grandi linee. E’ molto attento allo sviluppo della storia e dei personaggi. Inizia lui. Scrive la prima stesura e quelle successive. Io apporto le modifiche fondamentali su scene e personaggi. Alcuni li invento autonomamente. Se ricordo bene, Ronnie l’ho inventata io, come per Spetters -Schizzi avevo creato Maja. Anche le scene alla fine nel campo di lavoro sono per la maggior parte mie. Posso dire di aver contribuito parecchio alla sceneggiatura di Black book. Dei film fatti in passato con Gerard, la sceneggiatura era quasi sempre opera esclusivamente sua, nemmeno portava il mio nome. Ma in questo caso, il mio contributo è stato maggiore e dunque con Gerard abbiamo pensato di condividere il credit della sceneggiatura.

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