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Intervista a Lars von Trier

Con il ritorno alla commedia e a uno stile vicino a quello degli esordi, Lars von Trier ha presentato il suo nuovo film, Il grande capo.

All’inizio di quest’anno ha pubblicato una “Dichiarazione di rivitalizzazione” nella quale affermava che aveva intenzione di riprogrammare le sue attività professionali allo scopo di riscoprire il suo originale entusiasmo per il cinema. Fare Il grande capo le ha dato una nuova vita?

Sa, ho appena compiuto cinquant’anni. A quest’età pensi alle cose che non ti piacciono della tua vita e cerchi di fare qualcosa per cambiarle. Pensavo che avrei avuto un periodo di tempo maggiore per preparare e girare i miei film. L’idea era che non sarei stato più obbligato a produrre in continuazione solo perché la società (Zentropa) ha bisogno di produrre, ma alla fine, Il grande capo è stato girato in cinque settimane. Così puoi fare il diavolo a quattro quanto vuoi ma non servirà a nulla. Ma, sa, mi piacciono i problemi. Le regole sono una sfida. Sono lì per crearti problemi. Ho appena riletto la “Dichiarazione di Rivitalizzazione” e sembra che sarà molto difficile cambiare qualcosa.

Nel suo racconto all’inizio de Il grande capo afferma che questa è una commedia innocua. Può un film di Lars Von Trier essere mai davvero innocuo?

Ho sentito che volevo dire quella cosa. Sono stato criticato per essere troppo politico e forse mi sono autocriticato per questo… per essere troppo corretto politicamente, in realtà. Questo è un film che è stato fatto in poco tempo. Non è un film politico e mi sono divertito a farlo ma, ovviamente, le commedie buone non sono innocue.

È stato bello girare di nuovo in danese?

È stato molto liberatorio e mi sono sentito bene. Mi trovo meglio con il danese. Non sto dicendo che in futuro farò solo film in danese, ma è stato bellissimo fare un piccolo film con una piccola troupe. Mi sono molto rilassato.

Il film è stato presentato al Festival di Copenaghen. Non ha fatto in tempo per Cannes?

È stata una scelta quella di non fare domanda per Cannes. Sono stato molto contento per i miei altri film che sono stati lì in passato e Gilles Jacob ha fatto molto per me, ma è così bello non dover fare tantissime cose che non ti piacciono – come il viaggio, la pressione esercitata su di te dal festival. Me ne sto qui in Danimarca che è molto bella, soprattutto a maggio quando devo curare le mie verdure.


Come le è venuta l’idea di fare una commedia?

Ho avuto l’idea sul finto capo di una società veramente molto, molto tempo fa, ma all’inizio pensavo di farlo fare a qualcun altro. L’idea è vecchia ma è stata scritta poco prima di iniziare le riprese.

Qual è il segreto per fare una commedia di successo?

L’unica cosa che puoi fare è qualcosa che tu stesso trovi divertente e che ti intrattenga.

Come definirebbe il senso dello humour danese?

Una caratteristica è che i danesi amano sentirsi dire che sono degli stupidi. Forse perché è un paese piccolo e la gente è molto masochista. In The Kingdom si divertivano moltissimo quando la gente parlava degli stupidi danesi. Da queste parti quando gli islandesi urlano e dicono loro cose orribili, lo apprezzano moltissimo.

Nel film, si avverte chiaramente una tensione tra la società danese e la società islandese che la vuole comprare. Cosa sta accadendo in questo periodo tra la Danimarca e l’Islanda?

Il fatto è che ci sono moltissime persone islandesi che in questo periodo stanno acquistando a Copenaghen. Per 400 anni, l’Islanda è stata sotto la corona danese. Tutti gli islandesi odiano i danesi in questo senso. Si sono affrancati dai danesi. C’è questa cicatrice, dovuta a questi 400 anni che giustamente è sempre lì.

Lei è il fondatore di Zentropa ed è un regista. Anche lei si sente come il capo de Il grande capo?

L’idea del poliziotto cattivo e del poliziotto buono è un modo molto efficace per risolvere i problemi. Qui con me e Peter Aalbæk Jensen, a Zentropa, abbiamo un poliziotto buono e uno cattivo. Se c’è da trattare con gli attori e la troupe allora io sono il poliziotto buono, ma ci sono casi in cui io sono quello cattivo e Peter quello buono. È molto poco danese essere un poliziotto cattivo. Tutti in Danimarca vogliono essere i poliziotti buoni, ma quelli cattivi sono una figura necessaria. Se vai in America o in Inghilterra, i poliziotti cattivi ci sono perché c’è bisogno di loro, ma i danesi temono moltissimo il conflitto.

Il film può essere letto come un’allegoria di Zentropa?

Questo è quello che hanno detto gli attori, ma io non ci avevo pensato. Con Zentropa la mia idea era solo di poter produrre e controllare le cose che dirigevo. Peter Aalbæk Jensen ed io siamo un po’ strani. Penso che possa essere divertente lavorare a Zentropa. Non si tratta solo di un’altra società di produzione. Non c’è una chiara idea dietro di essa. È più una cosa intuitiva. Non siamo stati educati a dire che i soldi che entrano sono la cosa più importante.

Il film si basa molto sul dialogo. Ha deliberatamente evitato delle gag visive?

Quando ero ragazzino, ho visto molte commedie “screwball”. Mi piacevano le commedie come Susanna e La strana coppia, con molti personaggi. Mi piace Scandalo a Filadelfia e Scrivimi fermo posta. Questo è quello che ho cercato di fare, qualcosa di simile. Queste commedie “screwball” si basano sull’assunto che alcune persone sanno qualcosa che gli altri non sanno. Sopra tutto questo, ho messo una storia morale su come qualcuno possa usare il proprio direttore fittizio di una società per trattare malissimo i suoi dipendenti. Cosa che lo ha portato ad un altro livello.

• Vai alla seconda parte dell’intervista

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