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La ‘disperata’ vitalità di Beniamino Rossini

La ‘disperata’ vitalità di Beniamino Rossini

Ricky Gianco nello spettacolo<br />teatrale tratto dal romanzo” />Un bisogno primario muove la scrittura di Massimo Carlotto. Si tratta della necessità di esorcizzare l’idea che non vi sia più alcuna forma di racconto possibile al di là della cronaca; in altre parole, della volontà di illuminare quella zona oscura che aleggia intorno a quella pletora di immagini e descrizioni con cui le varie ‘cronache in diretta’ le hanno consegnate alla nostra memoria mediatica e al nostro ricordo personale. Il tutto attraverso <strong>il ricorso, creativamente strumentale, al genere noir – al noir mediterraneo, in particolare – le cui convenzioni vengono piegate all’esigenza di proporre una riflessione di natura morale</strong>. E questo bisogno si avverte con maggior prepotenza nei romanzi estranei al ciclo dell’Alligatore, dove lo scrittore sardo-padovano abbandona le convenzioni della serialità e corrode dall’interno le regole del genere nell’intento di fornire un’efficace rappresentazione della caduta dell’umano all’interno di un contesto sociale, culturale ed economico malato e sempre in balia dell’imprevedibile.</p>
<p>Il libro racconta la ‘vera’ storia di Beniamino Rossini, contrabbandiere, rapinatore, gentiluomo della malavita, che gli affezionati lettori della saga dell’Alligatore ben conoscono nella trasposizione romanzata. La spalla di Marco Buratti non è infatti un personaggio del tutto inventato, ma fondato sulla personalità, il fisico e le vicende biografiche di un uomo conosciuto da Carlotto durante la sua detenzione in carcere. Il ‘vero’ Rossini è morto da poco, il 7 maggio 2006, stroncato da un tumore; le sue ceneri «sono state disperse su una cima delle montagne del Feltrino e sullo scoglio di Mangiabarche in Sardegna, secondo i suoi desideri». Il libro è il frutto delle conversazioni di Beniamino con l’amico Massimo, pronto a registrare avventure, amori e passioni di una vita da fuorilegge, dagli esordi come “spallone” (cioè trasportatore di sacchi di sigarette di contrabbando lungo il confine italo-svizzero) ai traffici via mare, fino alla detenzione, passando per il Libano, Malta, Venezia e la Croazia della guerra civile.<br />
Il tutto raccontato con una forte dose di autoironia, in tre capitoli (i cui titoli riprendono versi delle canzoni di Ricky Gianco, colonna sonora ideale del romanzo) dove il racconto cronachistico in flashback, scritto con il consueto stile intenso, scorrevole e nervoso, a metà strada tra quotidiano e letteratura, viene interrotto da pause di riflessione sottolineate dall’uso del corsivo. Sono queste le parti più struggenti del romanzo, dove Beniamino ripensa ai vari episodi di una vita vissuta pericolosamente, tutta di corsa, senza mai guardarsi indietro, a ciò che avrebbe potuto essere e non è stato: alla dolce Carmela abbandonata in attesa di suo figlio, al matrimonio fallito con Sonia, alla travolgente passione per il transessuale Dalila, «l’unica persona del mio passato a cui ho portato un fiore sulla tomba». Ne deriva <strong>il ritratto di un uomo inquieto, alla continua ricerca della terra della sua anima,  fuorilegge per libera scelta. Il crimine è l’unico strumento per sentirsi libero e vivo a disposizione di chi è animato dalla percezione di una perdita irrecuperabile e una inadeguatezza pervasiva e struggente</strong>.</p>
<p>Ma <em>La terra della mia anima</em> è anche l’elegia dolente e commossa di una criminalità di vecchio stampo, violenta ma dotata di un suo senso dell’onore e di una propria giustizia interiore, legata ad un’idea della banda «come una società di uomini liberi, egualitaria e con pari diritti nelle scelte e nei dividendi». Una criminalità travolta da quella ‘globalizzazione’ del crimine, che ha dato luogo ai fenomeni del riciclaggio, delle ecomafie e del traffico d’armi. Al di fuori di questo contesto, <img class=i vecchi criminali come Beniamino sono dei ‘mutanti’ sempre all’erta, con la certezza disperata di essere dei sopravvissuti al disastro, obbligati a scoprire in sé la capacità di creare autonomamente i propri valori, magari cantando con Ricky Gianco: «nel futuro qualunque sia / non c’è niente da perdere / meglio un sogno da vivere / meglio una speranza, un’idea…».

L’autore
Massimo Carlotto è nato a Padova nel 1956 e vive in Sardegna. Scoperto dalla scrittrice e critica Grazia Cerchi, ha esordito nel 1995 con il romanzo Il fuggiasco (1996). Tra i suoi libri più recenti L’oscura immensità della morte (Ed. e/o, 2004), Niente più niente al mondo (2004) e, con Marco Videtta, Nord Est (2005).

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