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Intervista ad Alfonso Cuarón

Il sesto lungometraggio di Alfonso Cuarón, I figli degli uomini, è un maestoso affresco del presente ambientato nel futuro. Ecco come lo spiega il regista messicano.

Si può considerare questo un film sulla speranza?

Quando faccio un film esprimo un mio punto di vista, perciò il fatto che io sia una persona piena di speranza nella vita, in qualche modo ‘contamina’ questo film. L’umanità ha un talento straordinario per la distruzione, ma allo stesso tempo è capace di solidarietà e di superare insieme i problemi. In fondo I figli degli uomini non è tanto incentrato sull’umanità distruttiva, quanto sul potere delle ideologie e delle azioni al loro servizio

Da dove è venuta la scelta di partire dal romanzo di P.D. James?

Mi sembrava una storia molto adatta per parlare del mondo di oggi, con la scusa che si tratta del ‘prossimo futuro’. Non volevo un film sul futuro, bensì un film sul presente e sulle circostanze odierne che sono alla base del nostro futuro. Questa non è fantascienza, ma un chase movie, un film di inseguimenti ambientato nel 2027.

Il mondo descritto è piuttosto differente dagli stereotipi dei film di fantascienza…

Molte delle storie del futuro si rifanno al concetto del Grande Fratello di Orwell, ma questa è una visione molto novecentesca del potere dispotico. Oggigiorno le forme di tirannia assumono vesti diverse, e ciò che chiamiamo democrazia è una di queste. Trovo che questa sia una idea molto interessante che emerge in I figli degli uomini.

Malgrado i fatti che accadono, si può comunque considerare un film ottimista?

Nel creare la fittizia linea temporale che anticipa e spiega l’inizio del film, alcuni fatti che abbiamo inserito nella nostra storia si verificavano davvero, e nei telegiornali assistevamo alle immagini che avevamo pensato per il nostro film, ambientato però a ventuno anni di distanza da ora. Il mio intento non è certo quello di dare risposte, bensì di sollevare domande, di generare qualche pensiero. Nel complesso è senza dubbio un film che spera in un futuro migliore.

Quale messaggio politico ha voluto inviare con questo film?

Ho visto delle bellissime fotografie della Terra scattate dallo spazio, che mostrano le nuvole e la forma dei continenti. Ma quello che non si vede sono i colori con cui sono raffigurati i vari Paesi nelle nostre cartine. Queste linee invisibili sono state create dalle ideologie, talvolta assurde, e mi chiedo, che diritto abbiamo di chiudere la porta alla gente in difficoltà? Queste complesse questioni sono oggetto di dibattiti e di riflessioni sia in America che in Europa: come vengono trattati gli immigrati e i profughi in cerca di asilo politico? Questo non è il futuro, bensì un fenomeno che ha luogo proprio in questo momento. Tutti quelli [img4]che hanno lavorato in questo film sono convinti che il lato umano sia indispensabile all’approcio socio-politico: la compassione è più forte dell’ideologia.

Dal punto di vista tecnico, ha preferito allontanarsi da un montaggio artificiale optando per uno stile più realistico…

È stata una scelta voluta per ottenere il massimo da ogni inquadratura, per strizzarla fino all’ultimo, tenendo l’inquadratura fino a quando non non può dirci nient’altro, sempre secondo il punto di vista di Theo. Il risultato è stato meglio di quanto avessi mai sperato e sono stati proprio gli imprevisti e i piccoli incidenti ad aver reso il film più vivo.

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