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Il teatro nel cinema

Il teatro nel cinema

Il teatro non è il cinema. E viceversa. Inserire eccessi di teatralità in una pellicola può essere sempre pericoloso: un’immediata sensazione di pretenziosità e di staticità si fa protagonista e non riesce ad abbandonare questo ruolo ingombrante e spesso fuori luogo. Purtroppo è ciò che accade anche in Quale amore, film di Maurizio Sciarra che, abbandonato il tocco leggero e ironico di Alla rivoluzione sulla due cavalli (2001), si fa tentare dall’ardua impresa di realizzare un film liberamente tratto niente di meno che da un romanzo di Lev Tolstoj Sonata a Kreutzer. E se addirittura il romanzo non era fra i più riusciti dello scrittore, immaginiamoci il film.

Un dramma della gelosia. Una variazione sul lato davvero oscuro dei rapporti d’amore, deviati e corrotti da ambiguità, paure, insicurezze, fino a volte a perdere il controllo di sé e della situazione. L’ottocentesca Russia tolstojana è diventata la Lugano di oggi, perfetta e precisa, animata e abitata da affaristi e banchieri, allietata da concerti di musica classica. Protagonista il bravo Giorgio Pasotti, che qui però sembra davvero rimanere vittima del suo troppo ingombrante personaggio e non riesce a reggere da solo né il peso del film né quello di una storia molto, forse troppo, difficile da narrare. È lui la colonna portante, lui e il racconto che in flashback fa all’interlocutore Arnoldo Foà, come spaesato negli improbabili panni di un ascoltatore casuale a cui viene data l’importanza di ricevere una confessione insopportabile. Una storia d’amor fou che però il regista non riesce né a gestire né a contestualizzare, ritraendo un dramma che a volte porta addirittura alla risata, tanto sfiora il ridicolo. Dialoghi magniloquenti, retorici e ampollosi, che davvero poco si addicono a un contesto ultra contemporaneo come quello in cui è ambientata la storia; una fotografia pastosa e melmosa che invece di alleggerire l’atmosfera l’appesantisce ancora di più, rendendo a tratti crepuscolare una situazione già abbondantemente ed eccessivamente appesantita.

In tutto questo, a fare da contraltare a una tragedia, una Vanessa Incontrada che forse, non troppo consapevole del suo ruolo, appare sempre smodatamente leggera e luminosa. L’eterno connubio di eros e tanathos qui male si sposa, a volte infarcendo di troppi orpelli a volte banalizzando un film che alla fine non ha né capo né coda. Eppure gli elementi per una buona pellicola ci sono tutti: dei bravi attori, delle location stupende, una storia interessante. Ma questa miscela di ingredienti è diventata nelle mani del regista massa informe, troppo difficile da gestire.

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