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Tra leggenda e verità, scegli sempre la leggenda

Tra leggenda e verità, scegli sempre la leggenda

Alexandre Jardin si presenta con tutta l’intenzione di raccontarci una storia vera, una sorta di dovuta commemorazione della propria famiglia che profondamente ha segnato i suoi passi e dalla quale tenta strenuamente di staccarsi, non riuscendoci – e come potrebbe? Ineluttabilmente legato dalla genetica dei “doppiamilza”. D’altronde, come dice lui stesso, “tutto in questo libro merita di essere vero. Per evocare i miei, che ebbero sempre un piede nella fiction, potevo scrivere solo un romanzo”. Ripercorre così un albero genealogico che getta le sue radici strampalate su tutto il secolo scorso.

Questi Jardin erano dappertutto, come la malerba, estrosi per scelta e liberi fino al parossismo. Tutti condussero vite ad alto rischio, animate da ogni sorta di tribolazione: chi lussuriosa, chi artistica, chi politica e nessuno di questi funamboli si accontentò mai della morale comune, del vivere per sopravvivere. Neanche le ingrate leggi della fisica sono riusciti a sopportare. Ma, allora, da dove saltano fuori questi strani milionari in delirio? Per mantenere un determinato stile di vita bisogna avere soldi a palate, per poter continuare ad ospitare amici ed amanti alla Mandragore (luogo a metà strada tra un castello, un bordello, un ostello e un sanatorio di mali poco comuni) non è possibile vietare ogni forma di lavoro ordinario, come faceva questa setta di fanatici. La sola soluzione è allora quel Nano giallo che consegna sospettose valigette, che stipula patti segreti con i protagonisti politici del tempo, che si muove abilmente tra governo di Vichy e spie del KGB. D’altro canto lo Zubial, in vita Pascal Jardin, padre dell’autore, si divertiva a lasciare sostanziosi assegni in bianco nelle cabine telefoniche per provare cosa sarebbe accaduto e la vegliarda nonnina, detta l’Archibugio, vive in compagnia di una tenia per tenere a bada il colesterolo e a 82 anni suonati non ha perso l’ardore sessuale dei tempi passati.
Le stravaganze dei componenti di questa famiglia più che borderline sono unite da una marchio di distinzione: la fantasia e la febbricitante voglia di vivere le passioni, soprattutto quelle sentimentali e sessuali che coltivano con religiosità in ogni forma di lussuria.
Alla fine viene da chiedersi se tutto questo racconto sia vero o frutto di un’immaginazione perversa ed è proprio quello a cui anche lo scrittore vorrebbe rispondere ma, in fondo, non vuole scoprire. Così, in chiusura, al momento di svelare la cronistoria erotica del clan, sarà un Alain Delon nei panni di custode a scegliere di non rivelarne i segreti più nascosti facendo sotterrare il prezioso diario familiare nel caveau di una banca svizzera. Concluderà dicendo al nostro povero autore: “Fra la leggenda e la verità, scegli sempre la leggenda!”
E se i doppiamilza fossero stati in realtà persone normali? Peggior notizia non esiste per Alexander, perché il principio motore di questo autore è proprio la quantità di sogni che produce attorno alle sue storie. La bruta verità avrebbe bloccato tale meccanismo, inceppato il movimento dell’immaginazione, impedito di continuare ad essere “una menzogna che dice la verità.”

Un libro facile e divertente da consumare tutto d’un fiato. La scrittura è ricca e scoppiettante, ma spesso pecca di autocompiacimento giungendo all’iperbole dell’aggettivazione che ne appesantisce la prosa. Dominato dal sentimentalismo, etichetta di fabbrica del Jardin, potrebbe sembrare in pericolo di affondamento ma è tenuto a galla dall’irriverenza e l’umorismo delle scene più surreali, una costruzione meta-narrativa sottile e molto raffinata.

L’autore
Alexandre Jardin segue le orme del padre scomparso lanciandosi nella scrittura. Si afferma in Francia con romanzi sentimentali come Bille en tête (1986), per il quale riceve il Prix du Primier Roman, Le Zèbre (Prix Femina 1988) e Fanfan (1992), che lui stesso adatta allo schermo. Affianca alle occupazioni letterarie e cinematografiche l’attività giornalistica per Le Figaro.

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