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Intervista a Clint Eastwood

Dopo il premio Oscar per Million Dollar Baby, Clint Eastwood ha voluto ancora una volta lasciare il segno, con un’opera in due parti che mette in discussione uno dei pilastri del mito americano.

Da dove è partito il suo interesse a girare questo film?

Tutto è iniziato dopo la lettura di Flags of our fathers di James Bradley e Ron Powers, che contiene molti intrecci di storie che lo rendono un libro davvero interessante. Oltre, naturalmente, alla famosa fotografia scattata da Rosenthal della AP. C’è qualcosa di speciale in questa fotografia. Nessuno sa cosa sia, si sa solo che ci sono degli uomini impegnati a compiere un’azione: innalzare l’asta di una bandiera, e magari è proprio questo il modo in cui i ragazzi della foto hanno visto sé stessi. Ma nel 1945, quest’immagine è diventata il simbolo di una guerra. Momento di riscatto per una delle battaglie più sanguinose di quella guerra, la fotografia simboleggia tutto ciò che era in ballo, tutto ciò per cui i soldati combattevano. E quando scopri quello che è successo a quei ragazzi ed il modo in cui sono stati ritirati dalla guerra e rispediti a casa per andare in giro a stimolare gli americani ad acquistare le “obbligazioni di guerra”, rimangono dentro tante emozioni contrastanti, soprattutto se si hanno 19, 20, 22 anni.

Da quel punto come è arrivato alla produzione del film?

Ho scoperto che la DreamWorks aveva acquistato i diritti di proprietà. Ho detto a Steven Spielberg che mi piaceva molto quel materiale e ho lasciato che la mia proposta rimanesse così, sospesa in aria. Poi, un paio di anni fa, ho incontrato Steven a una funzione ed egli mi ha detto, «Perchè non vieni a realizzare quel progetto? Tu lo dirigi e io lo produco con te.» E la mia risposta è stata, «OK, lo farò».

La collaborazione con Spielberg ha portato alla realizzazione non di uno, ma di due film sull’argomento (l’altro è Lettere da Iwo Jima, in uscita il prossimo anno n.d.r.). Come mai questa scelta?

Nella maggior parte dei film di Guerra con i quali sono cresciuto, c’erano i buoni e i cattivi. Ma la vita non è così e la Guerra non è così. In questi film non si tratta di vincere o di perdere. Si tratta di capire gli effetti che la guerra produce sugli esseri umani e su quelli che perdono la vita molto precocemente.

Lei è realmente stato a Iwo Jima per le riprese del film?

Il governo del Giappone è stato molto disponibile e mi ha permesso di visitare Iwo Jima l’anno scorso, in aprile. E’ stata un’esperienza molto toccante quella di camminare su quell’isola, proprio sui luoghi dove molte madri avevano perso i propri figli, in tutti e due gli eserciti. Non c’è nessuno su quell’isola, a eccezione di un piccolo distaccamento militare giapponese e di alcuni aviatori americani che vanno lì ogni tanto per compiere esercitazioni. Quando stai seduto su quelle spiagge, riesci quasi a sentire le truppe che sbarcano e la confusione che ne deriva.

Le scene dell’invasione sono però state girate in Islanda…

E’ molto difficile trovare posti simili alle spiagge di Iwo Jima, molto difficile trovare un posto al mondo come quello. L’Islanda è un’isola vulcanica geotermica, molto simile a Iwo, quindi registra sempre dei piccoli terremoti. Ha spiagge scure, come Iwo. Entrambe hanno dei vapori vulcanici che provengono dal sottosuolo. Si trovano in meridiani diversi, ovviamente, ma l’Islanda in agosto, anche se fa più freddo, presenta condizioni simili ad Iwo nel mese di febbraio.

Ha conosciuto personalmente dei veterani di Iwo Jima?

Ho partecipato al sessantesimo anniversario a San Francisco, e ho trascorso molto tempo con i veterani. Hanno raccontato molti fatti. Ho conosciuto un uomo, che viene citato anche nel libro, che si chiamava Danny Thomas. Anche lui era Ufficiale Sanitario, come John Bradley. Non ha mai parlato di Iwo Jima, allo stesso modo di John Bradley. Non ha mai parlato della guerra. E’ tornato a casa e ha continuato a vivere la sua vita. Ma quando è invecchiato, ha deciso che era giunto il momento di parlarne. Ho trascorso un paio di ore a parlare con lui, e il suo racconto è stato molto emozionante, descriveva quali fossero i suoi sentimenti a quel tempo. Erano persone eccezionali.

Che impressione si è fatto dei ragazzi che parteciparono a quella missione?

[img4]Erano solo un gruppo di ragazzini che erano appena usciti dal periodo della Depressione, e per molti americani non erano tempi facili. Molti di questi ragazzi entravano nei Marines o si arruolavano nell’Esercito con coscienza, credevano in quello che stavano facendo. Ci credevano e perseveravano, ma diventare personaggi pubblici e rispondere alle aspettative della gente che erano terribilmente alte, ha messo sotto pressione questi ragazzi, al punto che si sono dovuti impegnare per cercare di alleggerire tale pressione e alcuni di loro non ci sono riusciti. Man mano che procedevano i tour promozionali in tutti gli Stati Uniti, i ragazzi ottennero una grande celebrità, partecipando a feste e ricevendo molta attenzione. Deve essere stato abbastanza scombussolante per questi ragazzi.

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