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Intervista a Otar Iosseliani

Una lunga intervista con il regista georgiano di Giardini in autunno, uno degli autori più apprezzati dalla Mostra del cinema di Venezia, nella quale per tre volte ha ottenuto il premio della giuria (per I favoriti della luna nel 1984, Un incendio visto da lontano nel 1989 e Briganti nel 1996).

Giardini in autunno racconta la storia di un ministro costretto a lasciare il potere e che ritroverà la gioia di vivere semplicemente bevendo, suonando e riscoprendo i luoghi dell’infanzia. Il titolo vuole forse dire che bisogna aspettare l’autunno per raggiungere e adottare questa filosofia?

Bella domanda! Per alcuni è così, e mi riferisco a coloro che organizzano la propria vita puntando tutto esclusivamente sulla professione, che fanno carriera e che perdono lo sguardo metafisico sui fenomeni della vita. Sono privi della gioia di vivere, pensano che la cosa essenziale sia fare carriera e conquistare posizioni nella scala sociale. Ma se il destino sorride loro, un giorno possono anche risvegliarsi da tutto questo e ricominciare a vivere. Il protagonista della nostra storia detiene il potere, è in una posizione invidiabile, ma viene cacciato… per sua fortuna. Siamo molto contenti per lui perché alla fine comincerà semplicemente a vivere. A volte tutto questo succede tardi, nell’autunno della vita. L’autunno è il tempo dei rimpianti, rimpianti per il tempo perduto …

Fino a che punto il suo film si riferisce ad un periodo preciso e ad eventi reali?

Nel film, non mi riferisco né ad un periodo preciso né tanto meno a fatti realmente accaduti. Il film si basa su un fenomeno ben noto a tutti, l’avidità della gente e la sete di potere. E’ una parabola su una tentazione con la quale, prima o poi, tutti noi dobbiamo fare i conti. Un meccanismo che osserviamo nei politici di oggi, accaniti, scatenati, lanciati verso una sfrenata corsa al potere che finisce sempre con un fiasco. Le persone assetate di potere sono, ai miei occhi, un po’ malate, sicuramente non equilibrate psicologicamente! Fingono di essere dei grandi uomini saggi, che sanno sempre quello che fanno ma tutti sbagliano. E poiché tutti sbagliano, questa preoccupazione costante di accaparrarsi il potere è costantemente oggetto di scherno. Esistono persone più sagge e lucide, ma non sono queste ad andare al potere. Ed è sempre stato così.

Giardini in autunno sembra a tratti una favola ma al tempo stesso ha molto a che vedere con quello che succede oggi intorno a noi…

Dai tempi delle favole di Esopo, che sono state copiate in maniera magistrale da La Fontaine in Francia, sappiano fino a che punto la parabola trova sempre una base molto concreta nella realtà. Sappiamo perfettamente chi è il lupo e chi l’agnello… E’ la realtà, sicuramente concentrata e compressa. E’ la base di tutta la poesia, che permette a volte di dire in due righe ciò che sarebbe difficilmente comprensibile con un centinaio di pagine. La vita che ci circonda ci offre costantemente tanta materia sulla quale riflettere ed è un’autentica gioia cercare di trasformarla in una formula che sarà chiaramente comprensibile a tutti. Un progetto viene elaborato quando una semplice osservazione comincia a disturbarvi, e allora pensate: «Perché quelle persone vivono in quel modo? Che peccato!». La favola è la forma che uso in tutti i miei film. La differenza in questo caso, rispetto a Addio terraferma e Lunedì mattina, è che l’argomento affrontato può essere considerato più vasto. Diciamo che esco dall’universo famigliare e affronto quello della società in senso più ampio.

Possiamo dire che questo film è più ottimista rispetto ai suoi due film precedenti?

Da un certo punto di vista sì, perché qui il nostro eroe riesce a trovare una nuova vita cosa che invece non succedeva nei due film precedenti anche se devo confessare che è una cosa piuttosto rara, almeno in Francia, che un ministro diventi giardiniere… E’ un vero peccato, perché è una cosa che mi piace un sacco!


Quale è stato il punto di partenza di Giardini in autunno?

Mi trovavo nella sede del Ministero della Cultura nel momento in cui François Léotard stava per sostituire Jack Lang. Il ministero era vuoto, perché si attendeva l’arrivo della nuova squadra, c’erano carte dappertutto, un vero casino! Credo che questo avvenga ad ogni passaggio di potere ed è stato questo il punto di partenza per Giardini in autunno: ho pensato che volevo fare un film su qualcuno che dirige il nostro paese. Ma volevo farlo in maniera molto astratta. Infatti, non sappiamo esattamente quale sia il ministero che occupa Vincent, ma possiamo semplicemente dedurre che sia quello dell’agricoltura, o qualcosa di simile.

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