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cultura dell'immagine e della parola

Intervista a Francesco Mazza

Abbiamo incontrato Francesco Mazza, autore di Demoni e Maestri, opera prima, in cui raccoglie pensieri ed emozioni che lo hanno accompagnato nel corso della sua vita.

Il progetto Demoni e Maestri nasce più da uno sfogo personale o da un bisogno di comunicare trovando una via alternativa?

Un po’ dell’una e un po’ dell’altra. Lavorando come autore televisivo, vivevo la contraddizione di fare un mestiere sulla carta creativo, ma che in realtà di creativo non ha un bel niente. Cercavo un luogo dove poter esagerare, e parlare di quelle robe che in tv nemmeno ti puoi sognare di pronunciare se non circondate da un alone di retorica da catechismo: droga, suicidio, sesso occasionale ed altre turbe giovanili che mi affollano la testa. Così è nato D&M.

In tutto il libro sottolinei l’attenzione per la forma a scapito del contenuto, in un’ottica di superamento del post-modernismo. Da dove deriva questa scelta di campo?

Da una frase di Chabrol che mi ha cambiato la vita: “La forma non rende bello il contenuto. Lo crea”. È una frase talmente vera che ogni volta che la rileggo mi vengono le vertigini. A mio avviso, tutte le opere d’arte della storia, siano esse quadri, sculture, film, libri, sinfonie, fotografie o quant’altro partono da un presupposto formale fortissimo, dirompente e solo in un secondo momento, attorno a questo presupposto, danno origine a un contenuto, il quale molto spesso è quanto di più banale possa esistere. E’ solo grazie alla forma che diventa un capolavoro.

Parliamo della scelta di ibridare prosa e poesia: l’utilizzo dell’una o dell’altra è legato alle tematiche trattate o risponde alle esigenze espressive di volta in volta differenti?

Diciamo che un discorso di ritmo. Un libro così doveva per forza avere un ritmo isterico. La schizofrenia e l’agitazione dei singoli scritti dovevano riflettersi anche nell’impostazione generale. Doveva essere una rapsodia. Per questo la prosa si alterna alla poesia, composizioni di pochi versi si alternano ad altre più lunghe.

Che cosa pensi della situazione della poesia oggi, in particolar modo di quella italiana?

E’ difficile capire dove vada la poesia in un dato momento storico se tu fai parte di quel momento storico. Sicuramente ci sono due fatti incontestabili:
1) tutti scrivono poesie. Se guardi su internet ci sono tonnellate di siti di poesie, miriadi di case editrici a pagamento che fanno affari d’oro pubblicando spazzatura, vagonate di blog dove pure le commesse di Roberto Cavalli scrivono le loro (deliziosissime) liriche;
2) nessuno sa niente di poesia. A scuola si insegna sempre di meno. I poeti contemporanei veri sono sconosciuti, addirittura molti non vengono neppure tradotti in italiano. I media non ne parlano, con la gustosa eccezione dell’onorevole Sandro Bondi su Vanity Fair.

Credo che nella storia del nostro Paese la poesia non abbia mai attraversato un periodo peggiore di questo. Non per fare il solito italiano che si lamenta di casa propria, ma all’estero è davvero tutta un’altra musica. A New York si fanno i reading di poesia nei locali di tendenza, mica nei ghetti intellettualoidi come accade da noi. A Berlino si fa il festival della poesia europea che è semplicemente indescrivibile. Eppure, anche da noi qualcosa sta iniziando a muoversi. Mi riferisco al filone della “slam poetry”, la poesia “ritmata”, che strizza l’occhio al rap, di chiara derivazione americana. Lì ci sono un sacco di cose interessanti. A questo proposito, segnalo il volume Incastri metrici, Arcipelago edizioni, che racchiude il meglio del genere prodotto nel nostro Paese.

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