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Sono trascorsi dodici anni dal ciclone Clerks. Un film in bianco e nero, girato con un budget ridottissimo, pervaso da una comicità caustica e pluripremiato, dal Sundance fino a Cannes, e diventato un cult generazionale. In questi dodici anni Kevin Smith, enfant prodige del cinema indipendente americano, ha provato a dimostrare di essere un regista, a scrollarsi di dosso i suoi commessi scansafatiche. Con In cerca di Amy (Chasing Amy, 1997) ha esplorato con poco successo la commedia dai toni saffici ma si è dimostrato molto legato al modello del suo film d’esordio. In Dogma (id., 1999), ha dimostrato di essere in grado di affrontare un tema scottante come la religione, ma è ricaduto nel rischioso pantano dell’autocelebrazione scegliendo di affidare il ruolo di profeti a Jay e Silent Bob, spacciatori sfigati del Quickstop market. I due pusher ritornano come spin-off nel film Jay & Silent Bob… Fermate Hollywood! (Jay and Silent Bob Strike Back, 2001 – da noi apparso direttamente in televisione). Meteora cinematografica è anche Jersey Girl (id., 2004), commedia graffiante che però non lascia il segno.

Il ritorno al Quickstop è quasi una dichiarazione di resa, di sconfitta artistica da parte di un regista che, volente o nolente, è vittima e prigioniero della sua creatura. Non a caso citando il nome Frankenstein siamo portati a pensare erroneamente al mostro redivivo, non al dottor Victor autore (regista) dell’esperimento di ritorno dalla morte. Il film ha un momento che potrebbe essere una summa teorica: all’interno del fast-food, Randal si rivolge all’amico Dante dicendogli che in oltre dieci anni non si sono mai spostati da lì e che ora lui pensa di cambiare vita solo perché qualcuno (la futura moglie) glielo ha imposto. Randal e Dante sono i cugini americani dei vitelloni di Fellini, ultra-trentenni con la sindrome da Peter Pan, incapaci di compiere una scelta. Sebbene Kevin Smith si sia ritagliato il ruolo di Silent Bob, il pusher taciturno, appare ovvio come veda in Dante un proprio alter ego. La scelta coraggiosa che Dante compie alla fine del film, finalmente, è la più ovvia. Citando Tommasi da Lampedusa «qualcosa deve cambiare perché tutto rimanga come è». Forse Kevin Smith non ha mai nemmeno letto (o visto) Il gattopardo, ma sicuramente sarebbe d’accordo con questa citazione.

Smith è tornato a fare quello che sa fare, cioè prendere due perditempo, farli discutere animatamente su quale saga sia la migliore del cinema (Guerre Stellari o Il signore degli anelli… ce lo stiamo chiedendo anche noi in un sondaggio… significherà qualcosa?) o farci disgustare con giochi sessuali zoofili asinini. Ne esce un prodotto divertente, fatto e finito per chi ha visto e amato il primo film, ma che non aggiunge né toglie nulla all’originale, e nemmeno sulle capacità di Kevin Smith. Ma forse lui è contento così, ora. Proposta: a questo punto perchè non inventarsi un format seriale e dichiarare concorrenza sleale al Jet Market di Apu de I Simpson?

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