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cultura dell'immagine e della parola

Rapiti dall’orrore

Certe volte la tentazione di profetizzare l’Apocalisse è troppo forte. Per quanto uno si sforzi di fare il progressista, il radical più o meno chic, il libero pensatore, l’indignazione è sempre dietro l’angolo, sinistramente incappucciata di moralismo.
Vi assicuro che avrei tanta voglia di scrivere della stagione televisiva alle porte, della sbornia di reality show che nonostante tutto ci sorbiremo, del “nuovo” Bonolis e dei diritti per le partite di serie A e B. Ma c’è questo tarlo che mi rode le cervella e mi ruba l’attenzione: l’immagine di questa ragazzina che abbiamo preso in ostaggio; la teen-ager austriaca rapita e chiusa dietro un piccolissimo schermo.
Esagero? Forse sì. Però se guardiamo questa vicenda sotto una luce particolare, qualche brivido ci dovrebbe venire.

Natascha Kampusch, diciotto anni. Rapita all’età di otto da un vicino di casa, tenuta in un appartamento per tutta la sua adolescenza. Fuggita in modo rocambolesco, immediatamente offerta all’occhio delle telecamere: la sua prima intervista Tv ha segnato un record di ascolti in Austria ed è stata ritrasmessa in tutto i mondo. Un’intervista impeccabile, chiaramente preparata sotto la guida di un consulente d’immagine e di un ottimo mass-mediologo.
Da circa una settimana fior di giornalisti e psicologi sezionano alla moviola ogni espressione, ogni intonazione della voce di Natascha in cerca dei segni e delle cicatrici di un’esperienza devastante da segnalare al grande pubblico, che dal canto suo attende trepidante nuovi dettagli.
Non nego il diritto di cronaca – ci mancherebbe altro! – ma il confine tra la notizia e la curiosità morbosa qui si fa labile e rischia di far emergere il lato peggiore di tutti noi telespettatori. Il lato “dolorista”, quello che cerca la catarsi a basso costo nella fascia preserale. Quello delle lacrime in primo piano e del pettegolezzo applicato alla tragedia. Un aspetto del nostro modo di essere che, d’altra parte, è indubbiamente molto umano: in fondo dagli scontri tra schiavi nelle arene al Grande Fratello, il voyeurismo becero ha accompagnato passo a passo la nostra evoluzione sociale.

In questo senso, la storia di Natascha è l’apice di un percorso compiuto in modo abbastanza scoperto dalla Tv sin dagli anni Novanta. Un percorso che in Italia parte da I Fatti Vostri e si spinge verso Anna Maria Franzoni, televisivamente irresistibile nel suo oscillare tra il ruolo di presunta vittima e quello di altrettanto presunto carnefice. È la strada che collega nel modo più diretto possibile i cagnolini mutilati dell’edizione di mezzogiorno di Studio Aperto con i “casi umani” del nuovo orrido programma di Maria De Filippi.
È una via lastricata di bassi istinti e pulsioni che, a parole, siamo tutti pronti a censurare.
Lo ripeto, tutto questo è estremamente umano: in fondo quando ci imbattiamo in un incidente stradale abbiamo tutti la tentazione di rallentare e sbirciare il corpo che viene caricato sull’ambulanza, giusto? E se da Mc Donald’s lanciassero un nuovo hamburger ripieno di carne di panda saremmo molto sdegnati, ma di nascosto una merenda (solo per curiosità, ci mancherebbe!) qualcuno andrebbe anche a farsela, no?

Per quanto a soggetti candidi come il sottoscritto una conclusione di questo genere faccia ancora impressione, il dato di fatto che emerge è uno: se ben confezionato, l’orrore vende bene e crea profitto; soprattutto in Tv.
L’ha capito il “manager” di Natascha (o chiunque abbia preparato l’intervista) che farà di lei una stella per almeno una stagione, così come l’hanno capito autori del Grande Fratello italiano che nell’ultima edizione hanno puntato sull’ex-bimbo rapito Augusto De Megni (coincidenza?). L’hanno capito i giornalisti e i registi, i critici televisivi e i conduttori. Immagino l’abbia capito anche il grande pubblico e abbia deciso che non è un problema.
Mi chiedo solo come potrà sentirsi Natascha, quando lo capirà.

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