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cultura dell'immagine e della parola

Un mondo abbastanza duro…

Un mondo abbastanza duro…

È una nuova “Germania anno zero” quella che affronta l’adolescente Micheal. Piovuto dalla bambagia dei quartieri ricchi nel mondo reale dei quartieri popolari, fatti di casermoni di cemento, di strade dense di violenza e di droga, Micheal scopre che vivere significa principalmente sopravvivere. Dallo zoo di Berlino allo spaccio di stupefacenti per conto di un arabo senza scrupoli, il percorso di Micheal è quello classico della facile redenzione attraverso la fiducia offerta da uomini che sembrano dare protezione, vestono bene il giovane di turno, riempiendogli le tasche di soldi, mentre in realtà, lo sfruttano a dovere e poi lo abbandonano al proprio destino.

Un storia universale, purtroppo. Sempre la stessa, è quella dell’Edmund di Rossellini ma è anche quella del figlio di un autista di bus (Robert De Niro) del Bronx, e così di mille altri piccoli delinquenti per necessità, che si avvicinano al mondo della malavita senza porsi alcuna questione etica. Il rispetto, i soldi, la protezione per la propria famiglia è ciò che conta e l’adolescenza diventa il trionfo dell’ homo homini lupus. Il neo-neo realismo di Buck è immerso nella realtà multietnica di una città che potrebbe essere ovunque. Berlino non è più sommersa da macerie di edifici bombardati, ma il substrato di uomini-topo che vive tra le macerie umane dei quartieri ghetto non è certo cambiata.

Nonostante non si tratti di un film dallo stile documentaristico, Detlev Buck mostra il suo sguardo sulla realtà con una ricerca sul campo compiuta attraversando le strade dei quartieri più degradati di Berlino. Un’immersione per toccare con mano la realtà dell’asfalto e carpire la fiducia degli adolescenti protagonisti di tante storie simili a quelle di Micheal. Così, anche la macchina da presa, sempre in movimento, scivola fra la gente delle strade e dei parchi per suggerire la prossimità di un mondo che è più vicino a noi di quanto possa sembrare.

Buck dimostra con abilità, riconosciuta dal successo di critica al 56° Festival Internazionale del Cinema di Berlino, che la tecnologia digitale è in grado di non far sentire la mancanza della pellicola, nella produzione di film a basso budget, che anni fa non avrebbero mai visto la luce. Una sceneggiatura solida, un ottimo attore (il quindicenne David Kross, una sorpresa), una messa in scena asciutta, uno sguardo tagliente e mai moralista, sono gli ingredienti di un film che riesce ad arrivare in Italia grazie al progetto 5 pezzi facili della Teodora Film, in versione originale sottotitolata, modalità di fruizione a cui il pubblico italiano non è troppo abituato, ma che forse farebbe bene ad apprezzare di più (distributori permettendo!).

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