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Il carcere di Prison Break

Corpo e mente. Sulla pelle, inchiostro, materiale insistente d’informazione. Nella mente, ricordi, fotografie sbiadite da spolverare. Sopra, un tatuaggio. Dentro, una scintilla geniale.
Corpo e mente, un’equazione sensoriale. Due strade che l’uomo percorre, due tracciati che invade, sporca e intraprende con la propria identità. Due armi sempre disponibili, mai del tutto identificabili e raggiungibili perché nascoste. Corpo e mente, strumento e pensiero. Che l’uomo imprigiona. Da cui l’uomo, inevitabilmente, è imprigionato.

Il corpo/mappa di Michael Scofield, protagonista di Prison Break, creazione Fox prossimamente in Italia, è una delle invenzioni più interessanti dell’universo seriale. Amalgamando thriller e prisonal, complotti governativi e spionaggio, realtà e illusione, la nuova serie creata, scritta e prodotta da Paul Scheuring (il pilot è stato diretto da Brett Ratner), è ambientata tra le mura e i condotti del River Fox Penitentiary, carcere di massima sicurezza, dove è rinchiuso Lincoln, accusato di omicidio e condannato a morte. Per salvare il fratello, ingiustamente incriminato, il fratello minore Michael progetta un’evasione. Decide di passare dall’ingresso principale, senza attirare l’attenzione, senza strillare. Rapina una banca, viene arrestato, condannato e spedito al carcere più vicino, ovvero il River Fox.
Affamato di giustizia Michael non cerca vendetta, solo salvezza e libertà. Non è una furia cieca, non si abbandona all’odio, non indossa maschere. Ha solo lo sguardo di chi va oltre. Entra nelle cose, vede, ricorda e assimila. La sua mente oscilla in moto perpetuo, fonde ingranaggi sensoriali, supera i confini dell’immaginazione. I suoi condotti celebrali sono un labirinto di genialità, una struttura imprevedibile, fredda e cinica. Il suo corpo è la mappa che lo conduce, la bussola che lo orienta. L’evasione progettata è un ingranaggio perfetto che si muove tra i confini del carcere e del suo corpo. Prima nasce come concetto di movimento del pensiero umano, come idea e fuga dalla realtà. Poi si fa carne, e diventa l’atto evasivo di portare fuori dei corpi.

Sigillato, adrenalinico, frenetico, Prison Break è una nuova e spiazzante conferma. Non solo dimostra che il prodotto seriale riesce a modellare un’idea di spettacolo (o di cinema tout court), creando storie sconvolgenti/coinvolgenti, ma anche che il prodotto seriale riflette e si costruisce sulla condizione estrema: del protagonista e dello spettatore. Finzione e realtà percorrono, ancora una volta, sentieri paralleli e sincroni.
Negli Usa dieci milioni di spettatori seguono con passione il doppio intrigo dei fratelli, dividendosi da una cella del River Fox a un’aula di tribunale col cuore in gol ad ogni puntata. E gli elogi non mancano. Il settimanale di spettacolo Entertainment Weekly ha incluso la serie tra le dieci migliori della stagione, e la serie ha ottenuto una nomination ai Golden Globe come miglior serie drammatica.

[img4]Il mix di thriller (politico) e dramma (carcerario) funziona bene anche se non raggiunge i livelli altissimi di Lost. L’idea geniale della corrosione/evasione interna, a volte, deve lasciare spazio a vicende legali, inseguimenti, morti inutili e inaspettate, decisamente meno convincenti e accattivanti. Però Prison è una serie creata su un’idea eccezionale. E questo può bastare.
Michael Scofield è la sintesi dell’uomo in lotta per la sopravvivenza. Il suo corpo/mappa è la rappresentazione della speranza opposta alla costrizione che l’uomo vive in carcere. Michael entra nelle viscere del carcere, lo corrode dall’interno e prepara la sua fuga. Perché lui è l’ingegnere che ha progettato il River Fox. E sul suo corpo ci sono le cianografie dell’intero edificio. È solo questione di tempo, i suoi origami gli indicheranno la strada.

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