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cultura dell'immagine e della parola

Good morning Iraq

Good morning Iraq

«Noi veniamo qui a farci ammazzare, e a questa gente non gliene frega niente di noi. Pensano che sia tutta una stronzata». Più o meno con queste parole uno dei soldati protagonisti di Full Metal Jacket (id, Stanley Kubrick, 1987) si esprimeva a proposito della popolazione vietnamita; oggi, a quasi vent’anni di distanza da quel mitico film, Kubrick si rivela, per l’ennesima volta, un geniale ed esperto conoscitore dell’uomo. Questa conferma viene durante la visione di Occupation: Dreamland, avvincente documentario girato da Garrett Scott e Ian Olds, due registi “embedded”a cui è stato dato l’accesso a tutte le operazioni dell’armata 82° Aviotrasportata dell’Esercito degli Stati Uniti. I registi danno voce a soldati vincolati da uno stretto codice di silenzio e autorità in un ambiente pericoloso e ostile, e il risultato è uno straordinario ritratto di una generazione di ragazzi spedita, senza capirne il perché, a farsi ammazzare lontano da casa. Questi soldati mostrano spesso un’inaspettata coscienza politica di tutto quanto succede (l’America è in Iraq per il petrolio) ma sono altrettanto consapevoli che una volta laggiù, per loro è meglio vincere e restare vivi. In questo senso l’operazione di Scott e Olds si rivela fondamentale nel fare luce (anche se parziale) su quanto scorre nelle coscienze di questi ragazzi spesso bistrattati dai loro coetanei occidentali (italiani per primi).

Un dettaglio colpisce fortemente: l’assenza fisica della morte, evocata solo attraverso qualche racconto e da volti che non hanno bisogno di parole. Senza dubbio questa può essere considerata una scelta propagandistica per togliere crudezza alla situazione mostrata al pubblico, ma di certo aumenta anche il senso di precarietà e incertezza diffusa.
Con uno stile agli antipodi da quello aggressivo di Michael Moore, Scott e Olds parlano da Americani agli Americani e al mondo, usando non l’arma della denuncia ma della semplice rappresentazione che parla alle coscienze. Il risultato (per chi lo saprà e vorrà vedere) dovrebbe portare a una riconsiderazione non certo della politica americana ma delle sue prime vittime, cioè i soldati, che, a parte qualche eccezione in stile John Wayne, appaiono essere persone la cui assoluta mancanza di scelte in patria ha portato alla firma volontaria per l’esercito. Tra questi ragazzi, infatti, non si trova nessuna voglia di conquista, ma solo il desiderio di una vita normale, fatta di college e famiglia. Ed è squarciante a questo proposito la verità di ciò che viene detto da uno dei soldati riguardo alle polemiche sul loro ruolo e sul loro comportamento in Iraq, e che suona circa così: «La gente a casa non lo può certo capire, ma sapere di poter morire da un momento all’altro ti porta a sparare senza esitazione se ti senti in pericolo».
Così, accanto alla denuncia, si affianca questo nuovo modo di smuovere l’opinione pubblica, meno eclatante ma altrettanto efficace nella sua tranquilla ed inquietante quotidianità.

Curiosità
Garrett Scott è deceduto il 2 marzo 2006, due giorni prima che Occupation: Dreamland venisse premiato con il Truer Than Fiction Award agli Independent Spirits Awards 2006.

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