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Frammenti di felicità

Frammenti di felicità

Della felicità nel film di Bohdan Slàma si vedono solo dei frammenti, come degli effetti di senso, transitori e passeggeri, condense casuali talmente fragili da esser destinate a svanire da un momento all’altro. La felicità è un puro effetto di superficie sembrano dirci le immagini di Slàma, effetto che nasce nell’intersezione di piani diversi, senza passato né futuro.
I personaggi di questo mondo dove le gite al fiume si fanno all’ombra delle ciminiere delle centrali nucleari, si trascinano lasciandosi vivere. Il modo in cui Slàma li tratteggia ce li rende quasi reali, nel loro essere contraddittori e insicuri. Monika, Tonik e Dasha, come le persone nella vita vera, sbagliano, ripetono gli errori e gradualmente crescono in loro convinzioni diverse.

Monika rinuncia a raggiungere il fidanzato negli Stati Uniti per accudire i bambini dell’amica Dasha, ma in cambio riceve le accuse deliranti di una pazza che alla fine si riprende i bambini senza tanti complimenti. Tonik ama Monika dall’infanzia, non è ricambiato e quando lei si ricrede e torna a cercarlo sarà forse troppo tardi. Alla fin fine tutti si approfittano della bontà degli altri e a rimetterci sono sempre i più deboli.
Ma in tutto questo mare di sfortune a cui i film dell’est europeo ci avevano già ben abituato fin dai decaologhi di Kieslowski, s’intravedono degli sprazzi di luce. Della gioia che appare come per caso, nei momenti più impensabili, nell’abbraccio di una sorella sul punto di morte che rivede un fratello dopo dieci anni, o nel pranzo di un’instabile famigliola affastellata da due amici d’infanzia.
Della recitazione intensa e commovente se ne sono accorti a San Sebastian dove Una cosa chiamata felicità ha vinto il premio per il miglior film. Peccato che nella traduzione italiana del titolo si sia persa sia la forza programmatica dell’originale ceco “felicità” sia il più sottile ed esplicativo titolo inglese “something like happiness”, che, ben diverso dal titolo italiano, rende l’idea della felicità come di una traccia, un qualcosa che nel momento in cui se ne parla è già divenuto altro.

Come nell’immagine con cui il film si chiude: Monika dal finestrino di un treno sorride nel vedere dei bambini che giocano e un cane che rincorre il vagone; la macchina da presa si volta a osservarli e in un attimo l’inquadratura ha già lasciato posto ad altro.

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