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Le illusioni perdute di Los Angeles

Le illusioni perdute di Los Angeles

Chiuso nella sua stanza d’albergo, squattrinato e depresso, Arturo Bandini (alter ego di John Fante) consuma sigarette a non finire, solo, di fronte alla macchina da scrivere che potrebbe renderlo famoso, non trova l’ispirazione e si dispera.
Basta il carisma innato di Colin Farrell per cogliere nel profondo tutte le contraddizioni del personaggio, le sue paure, le sue ossessioni: Il sogno americano esiste davvero, le possibilità sono infinite, le frustrazioni altrettanto.
Le tensioni razziali dell’epoca, il desiderio di “americanizzazione” a tutti i costi dei protagonisti, il conseguente amore carico di scontri e crudeltà indagano molto bene una realtà storica nonché umana.

La repulsione iniziale tra Arturo e Camilla e la conseguente passione destinata alla tragedia insegnano come due modi d’essere totalmente diversi possano infine incontrarsi, ma siano inevitabilmente costretti alla capitolazione finale. Arturo spia il mondo, ma non lo vive, tenta di raccontare esperienze che in quanto scrittore non ha mai vissuto, impacciato con le donne coglie con difficoltà le occasioni che agogna. Camilla vive fin troppo nella realtà, è la realtà di cui Arturo si innamora, il tramite tra lo scrittore e il Mondo.
Contraddizione rappresentativa dell’epoca più buia nella storia degli Stati Uniti d’America, passioni, disperazione, depressione, speranza, un sogno americano che malgrado tutto sopravvive, un inno al New Deal roosweltiano. La depressione individuale come specchio di quella universale, l’amore tormentato come metafora di pregiudizi etnici, la vitalità come estremizzazione di un’illusione quasi perduta e il destino che regalando gloria priva dell’amore. Un’America paradisiaca alle porte dell’inferno promette felicità, ricchezza, uguaglianza, tutte chimere introvabili, tutte in realtà solo sfiorabili.

La recitazione rende bene la complessità dei personaggi del romanzo di Fante, ma non basta a rendere il film soddisfacente. Riusciamo a identificarci coi protagonisti ma non con il regista.
Il ritmo, incalzante per la prima mezz’ora, si spezza improvvisamente, il dramma diventa melò. Il finale, scontato, non commuove, a tre quarti si intuisce come andrà a finire il film e non si aspetta altro. I dialoghi, poco incalzanti, determinano un calo di tensione, le musiche non influiscono né sull’andamento ritmico del film né tantomeno su quello drammatico.
Echi di un epoca ormai lontana (Una Los Angeles polverosa e sottilmente esotica, un mare burrascoso circonfuso di nebbia, teatro delle prime scaramucce d’amore di Arturo e Camilla) toccano l’immaginazione ma vengono tramortiti dal generale divenire del film restando luci rade ma distinte nel buio.
Un film insoddisfacente da un punto di vista prettamente cinematografico ma interessante per gli appassionati degli anni trenta americani e del New Deal.

Curiosità
Il personaggio di Arturo Bandini nasce, nella mente di John Fante, nel 1929 divenendo il protagonista di quattro romanzi (Aspetta primavera Bandini , Chiedi alla polvere, Sogni di Bunker Hill, La strada per Los Angeles) nonché alter ego dell’autore. Towne scoprì Chiedi alla polvere mentre scriveva la sceneggiatura di Chinatown e se ne innamorò subito. Divenne amico di John Fante (che morì nel 1983) e discusse ripetutamente con quest’ultimo di un possibile adattamento cinematografico del romanzo. A metà anni novanta Towne scrisse una sceneggiatura non commissionata e la presentò alla vedova di John Fante che la approvò. Nel 2006, finalmente è riuscito a dar luce al suo film, aiutato da Tom Cruise e Paula Wagner intervenuti come produttori.

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