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cultura dell'immagine e della parola

Contro il monitor palese

Contro il monitor palese

Questo film è una scatola aperta di intrecci ed evasioni, dove l’immagine è una perenne allucinazione che invade la realtà, che la trasforma in rappresentazione e ne cambia i colori.
Non si cercano altre storie. Tutte le storie sono state già scritte, si cerca solo un nuovo modo per raccontarle, per immagin(ific)arle ancora. Purché l’idea di un’immagine continui ad esistere occorre, però, la straordinarietà di un punto di vista che focalizzi oltre il necessario, la provocazione di un fuori campo estremo che recuperi lo sguardo puro. Occorre “il Regista”, un visionario profano che faccia cadere i veli offuscanti del visibile (si pensi alla scena del matrimonio della figlia); uno sciamano laico che superi le impressioni ed estrapoli la finzione dalla realtà (il filmino degli sposini sulla spiaggia). Non un committente (il principe Gravina) o un dilettante (Enzo Baiocco), monitor palesi che raccolgono la sostanza delle immagini forgiandole come videocitofoni umani, ma un artista che riabiliti una visione e la metta in prospettiva. In questo consiste il suo reato, la sua vera violenza carnale.

Franco Elica, cognome che già richiama il movimento di una macchina, è uno di questi registi messi in crisi dalla sordida profusione del visibile, dall’estensione del reality show alla vita dove la nostra carne è subito pronta a diventare figura di se stessa. L’immagine è ovunque, e proprio per questo, è da nessuna parte. Per questa ragione farne la propria professione diventa un’impresa mistica, per cui si ha successo solo da morti.
Franco Elica è così emblema di un’aristocrazia visiva nel magma dell’ indistinto visuale, è lui il profeta a cui si rivolgono i miscredenti. D’altronde una guerra di immagini resta pur sempre anche una guerra di religione, ci suggerisce Bellocchio.
Un matrimonio, per eccellenza lo script pre-costituito della nostra società, finzione omogeneizzante e omogeneizzata a cui ci prestiamo da protagonisti o spettatori, diventa così l’occasione perfetta per smascherare questa falsità (non a caso è un matrimonio di convenienza).
Elica, da regista di una nuova versione de I promessi sposi manzoniani finisce per dirigere ed essere diretto dalla realtà di un altro matrimonio, e come un Innominato moderno, si “redime” grazie alla sua Musa dalle sembianze di Lucia (Bona Gravina). Ma non è una fine.

Il film si spegne infatti, con le note amare di In cerca di te, canzone con cui si rimanda all’eterna quệte di immagini, senso, amore a cui siamo condannati, dopo la realizzazione di ogni nostro film o matrimonio. Un’inquadratura vuota, come chiude anche Elica, nel filmino degli sposi, rappresenta, così, la più precisa e definita delle visioni, dove il tutto scorre e non succede niente. Una finestra sul nostro senso d’essere. D’altronde “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi..” incipit manzoniano cos’è nella sua bellezza, se non la più maestosa e florida tra le inquadrature vuote letterarie?

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