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Un trentacinquenne in cerca d’indipendenza

Un trentacinquenne in cerca d’indipendenza

C’è sempre bisogno di commedie. Di ridere, quantomeno di sorridere. Di sognare un po’. E Hollywood ne sforna continuamente. Come prodotti in serie. Frank Capra e Billy Wilder inorridirebbero davanti a tale misero scenario. In queste commedie datate terzo millennio la noia regna infatti sovrana, l’originalità è una caratteristica inesistente tanto quanto il talento: i registi, o per lo più mestieranti, sembrano lavorare su canovacci già scritti e riscritti, su scenografie sempre uguali, su personaggi tanto fasulli quanto inverosimili.

A casa con i suoi purtroppo non è l’agognata eccezione che conferma la regola. Tom Dey, arrivato al suo terzo film, dopo altre due commedie del tutto irrilevanti come Showtime e Pallottole cinesi, si rivela ancora uno dei tanti professionisti del cinema senza particolari doti artistiche e autoriali; infatti conosce sicuramente il mestiere e la regia del film non ha nessuna sbavatura, tutte le cosiddette regole sono pedissequamente seguite, nessun errore degno di nota: potrebbe sembrare un manuale d’uso sul linguaggio cinematografico. Tutti gli elementi vengono a creare il mix perfetto del blockbuster americano: una fotografia scialba, un montaggio che c’è ma non si vede, una musica commercialotta e di cattivo gusto, una scenografia surreale perché alla fine non si sa mai chi abiti certe case; cast dai nomi eccellenti: a partire da Kathy Bates, che non si capisce perché abbia preso parte a un film tanto stupido, alla plurimiliardaria Sarah Jessica Parker produttrice e single frustrata della serie tv Sex and the City, fino a Matthew McConaughey, nuova icona maschile della cinematografia americana. Lo spunto tematico poteva sicuramente essere interessante se sviluppato un po’ di talento in più, di senso della realtà e della sociologia: un trentacinquenne che lavora, che è sempre in compagnia dei suoi amici del cuore a fare giochi dementi, non se ne è ancora andato di casa perchè mamma gli rende la vita ancora troppo comoda. La tipica famiglia wasp di inizio secolo. Ma anche la famiglia italiana e/o francese. Che piaccia o meno la società contemporanea occidentale ha creato dei trentenni instabili, precari economicamente ed emotivamente, dei fannulloni che cercano la via più breve per arrivare dove vogliono.

Niente nel film è però trattato con una certa causticità, con un po’ di senso dello squallore, o con una qualsiasi presa di posizione. A rovinare davvero il tutto arriva anche l’immancabile quanto improbabile nella realtà happy end. Non sia mai che lo spettatore abbia altrimenti un moto d’anima e di coscienza.

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