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Rivoluzione in maschera

Rivoluzione in maschera

Il volto rivoluzionario della libertà di Alberto Brumana

Classificare V per Vendetta come un film d’azione equivale a considerare il fumetto come un genere per ragazzini. Invece, come ci insegna Alan Moore, il fumetto può essere un’arte, e così V per Vendetta deve essere considerato uno straordinario film politico. Il fatto che in Italia venga distribuito in campagna elettorale è un caso (esce lo stesso giorno in decine di Paesi nel mondo), ma ben si sono resi conto della natura politica del film i media nazionali, che lo hanno etichettato, con valenze positive o negative a seconda degli schieramenti, come no global e antifascista.

V per Vendetta è prima di tutto un film sulla libertà. Libertà di vivere, libertà di pensare, libertà di agire. La pellicola è stata pesantemente etichettata da una certa stampa di destra come giustificazionista nei riguardi del terrorismo. V, il protagonista, in effetti è un terrorista: il suo obiettivo è far saltare in aria il parlamento inglese. La gente però non è terrorizzata da lui, ma dal governo, che impedisce e frena ogni impulso di vita. Facendo saltare il parlamento, V ridà una speranza a un popolo, che può finalmente gettare la maschera e agire in prima persona per la propria libertà. Moore aveva pensato alla dittatura di Adam Sutler come a una possibile evoluzione del governo conservatore di Margaret Thatcher. Se oggi proprio uno dei più autorevoli quotidiani d’oltremanica, il Guardian, definisce il nostro attuale presidente del consiglio, che non nomino non per par condicio ma per pudore, «un discendente diretto di Mussolini, il fenomeno politico più pericoloso oggi in Europa», si capisce allora quanto attuale possa essere la rappresentazione di V. I fratelli Wachowski, che si erano interessati al progetto ben prima di Matrix (The Matrix, 1999), hanno infatti deciso di riprendere la stesura della sceneggiatura infarcendola di riferimenti all’attualità, dall’11 settembre alla crisi medio orientale. Lasciata la regia a uno dei loro più promettenti assistenti, James McTeigue, hanno saputo realizzare uno stupendo spettacolo politico, che può valere più di cento comizi di un Borghezio o un Caruso qualunque. Il fumetto di Moore, grazie a un interessante uso extradiegetico dei baloon e alle splendide tavole di David Lloyd, si prestava perfettamente a una versione cinematografica, e McTeigue ha colto l’occasione. Atmosfere dark, regia patinata ma al servizio di una narrazione fluida, V per vendetta si distingue nel marasma delle pellicole derivate da fumetti proprio per la sua capacità di essere portatore di idee oltre che di immagini.

Costato cinquanta milioni di dollari, il film si avvale di un cast di primissimo ordine. Su tutti un imperturbabile John Hurt nei panni del dittatore Sutler (il caso vuole che in 1984 – id., Michael Radford, 1984 – interpretasse invece il ribelle Winston Smith), una Natalie Portman sensuale anche senza capelli e gli interessanti britannici Stephen Rea e Stephen Fry. V invece è interpretato con fare teatrale alla Fantasma dell’opera da Hugo Weaving, che d’altra parte non si vede mai in volto.
«Ricorda, ricorda il 5 novembre». Suona così la filastrocca che declama V riferendosi a Guy Fawkes e alla sua notte dei fuochi. Noi ricordiamoci almeno del 9 aprile, perchè gettare la maschera è un gesto importante e necessario.

Talkin’ about a revolution di Gianmarco Zanrè

Il nuovo capitolo del cinema a fumetti è senza ombra di dubbio una lietissima, ingombrante sorpresa: l’opera monumentale del più grande sceneggiatore di comics vivente, Alan Moore, è stata riadattata con estremo rispetto per la forma originale. McTiegue, allievo dei matrixiani Wachowsky, plasma la materia mooriana in un ottimo cocktail di action movie prettamente supereroico e un messaggio di fondo assolutamente esplicito e, proprio perché portato da una pellicola a grande diffusione, ancora più importante.
La storia di V, anarchico romantico quanto spietato, sincero e crudele, potrà far storcere il naso agli spettatori ancora succubi di una cultura mediatica e politica dominata da figure come quelle che vediamo sfilare nelle tiratissime due ore della pellicola: Sutler, Creedy, Prothero non paiono altro che simboli, rappresentazioni di quello che, all’epoca in cui Moore scrisse, era il governo Thatcher e che ora assume i connotati di capi di stato che abbiamo imparato a conoscere nella storia recente. I simboli, dunque, come punto focale di un’opera coraggiosa e militante, capace di coprire le imperfezioni tecniche e di narrazione con un’ottima resa della tensione, un montaggio efficace e, soprattutto, un messaggio profondamente politico e coscientemente schierato.
In Syriana (id., Stephen Gaghan, 2005) Clooney pronuncia una frase di importanza cruciale: «Il terrorismo è un’idea, non uno stato che puoi andare a bombardare».
Creedy, dopo aver svuotato un caricatore contro V, chiede: «Perché non muori?» «Perché dietro questa maschera non c’è un uomo, ma un’idea. E le idee non possono essere uccise dai proiettili».
C’è la speranza che qualcosa stia cambiando davvero.

Molte sarebbero le disamine necessarie per comprendere a fondo un personaggio come V, splendido protagonista cui dà volto un ottimo Hugo Weaving, capace di stemperare alcuni dialoghi troppo densi con una mimica e una fisicità che trovano nei vecchi film d’avventura e nelle più recenti trasposizioni del Fantasma dell’opera i modelli più visibili. Dal punto di vista della caratterizzazione del personaggio, la sua natura istrionica subisce un brusco cambio di rotta quando il suo rapporto con la giovane Evey si consolida per necessità. I metodi di V, la sua devozione alla causa, la spietata metodicità della messa in atto del piano preparato con cura maniacale per vent’anni ci pongono in una condizione di scetticismo e paura simile a quelle vissute dalla stessa Evey, che comprenderà meglio della filosofia di V grazie all’aiuto dell’amico Deitrich, conduttore televisivo e straordinario esempio di quella che è, ad oggi, la censura nei media.

Un punto di partenza che nasce e cresce nel dolore e nel trauma, nella consapevolezza della crudeltà di V, uno spietato di stampo eastwoodiano, pur se più ciarliero e teatrale. L’anarchia espressa dal protagonista, la distruzione prospettata dal suo cinque novembre, il completamento di un piano che rovescia l’ordine costituito come le tessere di un domino globale può e deve farci riflettere, perché se la vita reale non è in grado di darci un supereroe simile, può, in ogni caso, e da sempre, risvegliare le coscienze del vero potere, quello della gente: «Il popolo non dovrebbe avere paura di chi governa, ma è chi governa che dovrebbe avere paura del popolo».
È il caso, forse partendo proprio dal cinema, che noi per primi si torni a ricordarlo. E, perché no, che tornino a pensarci anche loro.

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