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Il farmaco della verità

Il farmaco della verità

Titoli di coda. Dedicato a Yvette Pierpaoli, fervida attivista e instancabile volontaria, “vissuta e morta dando il massimo”. Luce in sala. Tutto finisce. Tutti a casa. Ma non si può rimanere indifferenti. Perché The constant gardener è un film importante organizzato con equilibrio formale e mosso da nobili motivazioni.

Merito del regista brasiliano Fernando Meirelles, che si conferma autore di razza pura del cinema di denuncia, anche dopo il bellissimo City of God (Cidade de Deus, 2001). Lì il palcoscenico era Rio De Janeiro. Qui è Nairobi. Da una parte le favelas, i bambini e la ferocia della povertà che inghiottisce. Dall’altra parte una lontana area del Kenia del Nord, arida, devastata dall’Aids e dall’avidità delle multinazionali farmaceutiche. Non ci sono vie di mezzo. In questi casi si parla di equilibrio della forma, perché Meirelles ha ben chiare quali sono le sue intenzioni. Focalizza il come, il cosa e soprattutto i perché. Il suo film è una fusione calibrata di questi tre elementi. La storia d’amore del flemmatico diplomatico e della tenace attivista funziona solo da pretesto per introdurre lo spettatore nel mondo sporco delle multinazionali farmaceutiche. Meirelles calcola, dosa, distribuisce emozioni, senza giocare sporco. A tratti sembra didascalico e prevedibile, ma comunque riesce ad emozionare.

L’abilità del regista consiste soprattutto nel mantenere questo equilibrio tra atto di denuncia e storia d’amore. The constant gardener è meno documentaristico di City of God e forse più romanzato, ma lo sguardo di Meirelles non perde mai l’orientamento. Gioca con il colore quando si tratta di descrivere l’ideologia di due mondi distanti come il Kenia e la Gran Bratagna, affidandosi nel primo caso alla gioia dei colori accesi per l’anima degli africani, nel secondo caso abbandonandosi alle tonalità funebri per focalizzare lo spirito degli occidentali. Da una parte la gioia di vivere, l’ingenuità, la disperazione. Dall’altra l’apatia, l’ingordigia, lo sfruttamento. L’uso costante della macchina a mano, il ritmo frenetico, il sottile strato di tensione, la scelta delle musiche, l’insistente scelta del flashback, tutto è funzionale all’equilibrio della forma. Niente è messo a caso.
È importante che lo spettatore anche grazie a questi film accresca il proprio grado di consapevolezza. Non si devono chiudere gli occhi. Le multinazionali farmaceutiche esistono, così come le devastanti conseguenze delle loro ingiustizie. Tuttavia, scaricare esclusivamente sul Cinema l’occasione per parlarne sarebbe davvero (troppo) desolante.

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