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Spottone per l’Interrail

Spottone per l'Interrail

Una sera come tante, in coda all’ingresso di un multisala come un altro (tanto sono tutti uguali). L’odore dei pop-corn un po’ mi nausea e mi auguro che la sala non offra lo stesso aroma. Al momento di consegnare il biglietto alla maschera per entrare in sala, mi viene consegnato un sacchetto di carta marchiato con il titolo del film in proiezione. “Nel caso venisse da vomitare” dice un po’ turbato l’uomo che mi ha appena strappato la matrice del biglietto. Mi invita a entrare, spero che non dipenda dall’odore dei pop corn. “Non sanno più che inventare” dice a voce alta il ragazzo davanti a me nella fila. “C’era da aspettarselo – penso io smaliziato – visto che il regista ha dichiarato che da giovane amava soprattutto i film che gli provocavano dei conati”. Il pubblico non supera i vent’anni di media, la cosa mi fa pensare.

Mi aspetto una di quello solite cose “alla Tarantino” che si fregiano del suo nome solo per giustificare dosi di violenza gratuita ed ettolitri sangue finto rovesciati sul pavimento. “Tarantino è un po’ come Besson, sempre sulle locandine e poco dietro la macchina da presa”. Buio in sala. Gli spettatori non sono molti ma il brusio è forte. Si ride e si scherza amabilmente anche sui titoli di testa, sembra di essere in sala per un film dei Vanzina. L’incipit, in effetti, mi spiazza. Sembra un po’ Porky’s e un po’ l’interrail che ho fatto con gli amici dopo la maturità. Festa lungo i canali di Amsterdam, qualche birra, infinite canne e poi fuori dalle vetrine a scegliere quale “professionista” avrebbe soddisfatto i miei bollori adolescenziali. Ma fin da subito i protagonisti del film portano tutto all’eccesso, vogliono di più e soprattutto non ciò che altri sfigati come me possono permettersi facilmente. Nulla di più facile che seguire i consigli del primo venuto che dice “andate in Slovacchia”. Là le ragazze sono delle dee del sesso e saranno disponibili a fare tutto, ma proprio tutto! Ci pensi? Zaino in spalla e si parte di corsa. Mi viene in mente una delle leggi dei film horror di Scream, mai fare sesso. Cavoli, con tutto quello che fanno i tre scellerati nella prima mezz’ora, se Craven ha ragione, allora finiscono male…

“Strano, quando il film comincia a virare verso l’horror le battutine e le risate del resto del pubblico si placano. Di solito non succede così”, penso tra me e me… intanto sullo schermo prevalentemente nero inizia un’operazione di tortura, insostenibile allo sguardo, con un trapano elettrico. Negli occhi mi passa una cura “Ludovico” sufficiente per anestetizzarmi dalla violenza cinematografica per i prossimi due decenni, ma ciò che più mi colpisce è la mancanza assoluta di qualsiasi forma di ironia nel film. Osservo gli altri spettatori attoniti. Rimangono silenziosi, a bocca aperta, alcuni con gli occhi chiusi, frastornati dalle urla dei protagonisti ormai nelle mani di una manica di torturatori folli. Non c’è nessun mostro con le lame alle dita, nessuna videocassetta che uccide, nessun pagliaccio nelle fogne. Santo cielo, qui l’orrore è vero, sono uomini contro uomini. Homo homini lupus. Mi ritornano alla mente le immagini viste al telegiornale sulle torture di Abu Grahib. Il tempo passa ma la storia non cambia, o forse sì… Uno dei protagonisti forse si salva, ma l’ineludibile epidemia di violenza lo contagia e lo trasforma in aguzzino a sua volta. Che mi vuoi dire, caro Quentin? Viviamo in un mondo fatto di violenza e la nostra catarsi passa inevitabilmente da essa? Scusa ma non ci credo. Penso anzi che andrò volentieri a casa e mi vedrò un film di Frank Capra, giusto per compensare. Intanto all’uscita riconsegno il sacchetto alla maschera. Pieno.

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