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Necessità antispettacolare

Necessità antispettacolare

La matrice antispettacolare di Syriana, seconda regia di Stephen Gaghan già acclamato sceneggiatore di Traffic (id., Steven Soderbergh, 2001), mette in luce le vere ragioni che hanno spinto George Clooney e Steven Soderbergh a credere in questo coraggioso progetto. Una cosa è certa. Syriana è molto meno spettacolare di Fahrenheit 9/11 (id., 2004) firmato da Michael Moore, scagliatosi anch’esso contro le schifezze firmate iuessei. Ha obiettivi diversi e si muove su tracciati opposti. L’intenzione di Gaghan e company non è quella di sputtanare, rinfacciare, ri-gonfiare, polemizzare, bensì di chiarire, mettere in luce, prendere il nero del traffico di petrolio e renderlo più trasparente. Condensare, cioè, la verità e farla strumento della finzione. Perché lo spettatore si possa specchiare e confrontare, dialogando con il film per rendersi conto, sensibilmente, della corruzione e, quindi in un’accezione più ampia rendersi conto dove nasca il terrorismo. Michael Moore voleva far esplodere una bomba, espandendo la verità, dandole la forma di un’accusa corrosiva che a volte diventava anche bugiarda. Stephen Gaghan cerca invece di trovare almeno una risposta, cerca di ridurre al minimo lo spettacolo e di ricucire la consapevolezza dell’occhio che guarda e partecipa. Gaghan accusa ma non strilla. Ricama, ma non cerca l’applauso.

Oltre all’abilità narrativa, che mescola luoghi, storie e uomini, Gaghan ricorre praticamente sempre alla ripresa a mano e fa assaporare allo spettatore il gusto amaro della verità, quello sanguigno del dolore, quello nauseante del tradimento e dell’assurdità. Decine di personaggi e di storie intrecciate tra loro e collegate a un unico filo conduttore formato dalla triade petrolio, denaro, bombe. Un racconto complesso, avido di retorica e livido nelle immagini, dove si danno il cambio freneticamente le vicende dell’agente della CIA tradito (George Clooney), dell’analista di una compagnia elettrica a Ginevra (Matt Damon), dell’avvocato d’affari di colore (Jeffrey Wright). Ma anche un racconto che evidenzia come l’America del meltin pot e delle tante contraddizioni sia sempre più marcia e corrotta da chi la governa e da chi la dirige nel mondo. Non certamente un racconto fresco e semplice, anzi, a volte ci si smarrisce quasi. Ma è inevitabile: chi può, senza dubbi, convivere con tutte queste informazioni? Chi può ritenersi esperto di questo genere di verità? Probabilmente solo chi sta dentro e dietro questa enorme, infima e destrutturante strategia politica, può veramente capirne la portata.

Syriana è fondato esclusivamente su un’estetica antispettacolare perché non vuole rinunciare a raccontare la verità. Non scende a compromessi neppure quando si tratta di tradurre con i sottotitoli le sei lingue parlate (farsi, arabo, pakistano, inglese, francese, tedesco). E’ un viaggio dentro il mondo degli affari sporchi, gli stessi che hanno portato alla guerra, che da oltre quarant’anni si svolgono nell’oscurità. Da Teheran a Washington, Ginevra, Beirut, Marbella, Houston, Golfo Persico, tutto è collegato, appeso a un filo, impigliato nella fitta rete di relazioni sporche. Una maglia indistruttibile a quanto pare. Fatta da uomini che ordinano e subiscono. Uomini che un giorno sono carnefici e un giorno vittime. Uomini destinati a cambiare il mondo, in qualsiasi direzione si muovano.

Curiosità
Ha detto George Clooney: «Voglio poter rispondere a un figlio con chiarezza sulle vere cause della guerra in Iraq, e penso che con Syriana si possa dare questa risposta. Mettere in luce il processo economico e politico che ha condotto al terrorismo internazionale. E’ una presa di coscienza contraddittoria che ci obbliga a osservare le possibili soluzioni e il pantano del Medio Oriente».

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