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Acqua marcia

Acqua marcia

Giorgio Pellegrini è stato un terrorista negli anni settanta. Ma ha fallito. Condannato all’ergastolo è poi fuggito all’estero, a combattere come guerrigliero in centro America. Ma il muro è caduto. Ora vuole una nuova vita, dimenticare il passato, saldare il proprio debito con la giustizia. Ma a modo suo. Nella stanza buia in cui si trova l’unica porta illuminata dai suoi occhi è quella della corruzione, della violenza, della ferocia. Si vuole redimere, ma solo con acqua sporca.
Buttando gli occhi sull’ultimo film di Soavi non si può accantonare la forma filmica, e badare esclusivamente alle questioni / scelte narrative. Anche perché, altrimenti, si deve leggere il romanzo da cui è tratto, dal titolo omonimo, dello scrittore Massimo Carlotto. Tutti dicono che è un buon libro. Fidiamoci. Lo stesso Carlotto si è definito entusiasta della trasposizione cinematografica ottenuta da Soavi, sia nello sviluppo della storia, sia nello spirito. Ovviamente chi ha “letto” e “visto” dirà che il libro è un’altra cosa o roba simile. Al di là di ogni polemica e discussione sull’efficacia dell’uno o le mancanze dell’altro, questo è un film che mescola tante forme tutte appartenenti alla letteratura noir o al cinema che ha riflesso (e riflettuto su) questo genere.

È un film amaro, che lentamente corrode perché Soavi si sofferma a rappresentare il Male. Su chi è stato investito, per volontà o destino, da qualcosa che non può cancellare del tutto. Pellegrini è un criminale atipico. Per lui non si prova né affetto né compassione. Il nostro occhio non soffre con il personaggio. Assiste, guarda. Magari partecipa quando ci sono le sparatorie, tipiche dei poliziotteschi. Ma Soavi ci lascia fuori dal gioco. Non ci invita ad entrare. La sua rappresentazione funziona. Perché, innanzitutto, fa un uso consistente delle atmosfere dark del cinema che lo ha reso famoso sul finire degli anni ottanta (Deliria, La chiesa, La setta), colme di fetida umidità, e, secondariamente, perché sfrutta e innesca tutti i meccanismi frenetici della fiction poliziesca italiana, cui deve il successo degli ultimi anni.
Soavi alterna e frulla lo splatter e il grottesco, il dramma sociale e la redenzione umana, e sintetizza tutto utilizzando i lineamenti e i ritmi del fumetto. Dalle considerazioni sulla natura del peccato e del pentimento al desiderio inafferrabile di nuova vita, il sottotesto mette in guardia la società contemporanea, sempre più corrotta, sempre più implicata. È un fumetto robusto nella forma, ma saturo nei contenuti. Che rischia di scoppiare, spappolandosi.

Curiosità
Michele Soavi è nato a Milano. Ha mosso i primi passi nel cinema accanto Joe D’Amato e a Lamberto Bava. Molto importante l’incontro con Dario Argento con il quale ha collaborato in diversi film, realizzando anche, nel 1985, il documentario Dario Argento’s world of horror. Ha collaborato anche con Terry Gilliam, sia per la realizzazione de Le avventure del Barone Munchausen (The Adventures of Baron Munchausen, 1988), sia ultimamente per I fratelli Grimm (The Brothers Grimm, 2005). Negli ultimi anni ha lavorato molto in televisione. Ultimo 2 – La sfida (1999), Uno Bianca (2000), Il testimone (2001), San Francesco (2001), L’ultima pallottola (2002), Attacco allo Stato (2006).
La canzone di Caterina Caselli Insieme a te non ci sto più, che ha ispirato il titolo del romanzo e del film, è un brano conosciuto al cinema italiano. Nanni Moretti l’ha usata due volte, in Bianca (1983) e in La stanza del figlio (2001), Aldo, Giovanni e Giacomo l’hanno usata in Tu la conosci Claudia? (2004), e Giovanni Veronesi in Manuale d’amore (2005).

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