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cultura dell'immagine e della parola

Tra(n)sformazione e identità

Tra(n)sformazione e identità

Non è solo un road movie: è un road movie che funziona da contenitore per altri temi, e funziona assai bene. Come spesso accade, il viaggio fisico dei protagonisti accompagna e mette in moto un percorso spirituale che conduce verso la scoperta della propria identità, ed è un percorso pervaso di molte reticenze, perché l’identità – questo è uno dei temi principali del film – è un insieme di fattori complessi e difficili da ingabbiare in definizioni ed etichette prestampate, qualcosa che è arduo far accettare a noi stessi prima ancora che agli altri. La sessualità è soltanto uno di questi fattori, in questo caso è ciò che porta alla luce tutti gli altri, che rende evidente, anche in senso fisico, la trasformazione interiore.

La materia trattata richiedeva uno sguardo pudico e rispettoso, capace di vedere senza invadere e senza giudicare: ed è proprio così in questa pellicola disseminata di piccole emozioni, tutte affidate agli sguardi sfuggenti e alle rughe di un’attrice a dir poco straordinaria. Felicity Huffman (finora nota come “desperate housewife” Lynette) regala un’interpretazione stupefacente per la credibilità e per il carico emotivo che porta con sé. È Bree, trucco marcato e completi bon ton, ma è anche Steve. E Steve non si può cancellare, si deve incorporare, letteralmente, con tutta la sua eredità, che si presenta qui sotto forma di carne e sangue: Toby, un figlio di cui si fatica a ricordare l’origine, un adolescente in cerca di riscatto proprio in quel padre che, almeno fisicamente, non esiste più.

Un bel film indipendente, non esente da qualche caduta (l’intermezzo kitsch nella famiglia di Bree), ma coraggioso e sottilmente ironico. Un’ottima sceneggiatura che si muove con la giusta misura su un terreno quanto mai sdrucciolevole, fatta di dialoghi semplici e mai banali, capace di far partecipare lo spettatore a sentimenti e situazioni non comuni e per lo più trattati in maniera superficiale. Un bel ritmo, quello dei viaggi importanti e privi di un ritorno immediato: pause, incontri, disavventure, litigi, imprevisti che acquistano un senso profondo nell’immagine finale di una (forse) ricomposizione non tradizionale, non allineata, soltanto allo stadio di germoglio. Uno sguardo gettato con estrema delicatezza al di là di una finestra su un interno che, a questo punto, non è più affar nostro.

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