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I fantasmi western di Tommy Lee

I fantasmi western di Tommy Lee

Dopo la diversità sessuale di Ang Lee (I segreti di Brokeback MountainBrokeback Mountain, 2005) il far west si popola dei fantasmi di Tommy Lee Jones. Una storia di amicizia, lealtà e condivisione nella terra del Rio Grande dove Jones è nato e dove, attraverso polverose panoramiche dalla fotografia opaca, soddisfa la necessità di farcene percepire l’odore e l’asprezza. Un deserto di sabbia, cespugli e rocce nere che si specchia nello squallore eccentrico della profonda provincia americana dove donnoni con bikini e ombrellino prendono il sole davanti ad abitazioni-roulotte senza il rischio dell’ombra di un grattacielo. Il film è il viaggio di un cowboy dall’etica sana e visionaria a metà tra John Ford e Sam Peckinpah, di un poliziotto di frontiera alla ricerca di un mentore e di una fatina bionda, “bella di giorno”, in attesa di essere liberata. Un vecchio fast food, paesaggi lunari che appaiono allucinazioni, apparizioni che sembrano miraggi e la natura che si impone ai personaggi ingigantendo il senso di spaesamento di un western crepuscolare dalle forti tinte noir la cui atmosfera decadente rievoca Gli spietati (The unforgiven, Clint Eastwood, 1992).

Struttura emotiva della narrazione
La standing ovation al Festival di Cannes 2005 ha suggellato il meritato premio alla sceneggiatura ad Arriaga, scrittore che si definisce non sequenziale, ideatore di un racconto in tre parti che procede secondo una “temporalità emozionale e non narrativa” reso cinema attraverso un montaggio che scompone continuamente, attraverso flash back soggettivi, la cronologia della storia. Il tono lirico della narrazione è interrotto da momenti di commedia nell’onnipresente telenovela in tv che interagisce con i personaggi regalando graditi istanti di ironia surreale.

Il sentiero dei fantasmi
L’estenuante canyon di polvere e sangue scorre tra le rughe di Jones, quasi ostentate nei ripetuti primi piani, ed è percorso da un Don Chisciotte texano e dal suo ostaggio, un Sancho Panza senza radici. Un sentiero costellato di incontri e segni mistici dove un anziano cieco abbandonato ascolta alla radio canzoni in spagnolo pur non capendone il senso e un gruppo di messicani guarda telenovelas commuovendosi senza comprenderne i dialoghi; un universo borgesiano che vive lungo una frontiera artificiale tra due paesi che sembrano uno solo. Cadaveri in decomposizione, animali sacrificati e cibi repellenti marcano con violenza la via della redenzione. Due fantasmi che trasformano un corpo martoriato nel totem del sogno di un messicano diventato redenzione per uno yankee. I tre attraversano la frontiera in senso contrario rispetto ai disperati perché il loro sogno non è un lavoro sottopagato. La prima regia di Jones è anche il testamento spirituale di un americano “con mille anni di deserto alle spalle” in fuga dall’alienazione per ritrovarsi dall’altra parte del fiume tra le rovine del suo personale Eldorado.

Curiosità
Jones ha chiesto allo scrittore messicano nonché suo compagno di caccia Guillermo Arriaga, già sceneggiatore per Alejandro Gonzalez Iñarritu di Amores perros (2000) e 21 grammi (21 grams, 2003), di scrivere la sceneggiatura del film. Arriaga, che nel film interpreta anche una piccola parte, diventa così il primo messicano la cui sceneggiatura è diventata film negli Stati Uniti.
Jones per aiutare gli attori a entrare nella psicologia dei personaggi ha regalato a Dwight Yoakam (lo sceriffo Belmont) il romanzo Lo straniero di Albert Camus e a Barry Pepper (Mike) la Sacra Bibbia.
Il film ha vinto il Premio per la miglior sceneggiatura e per il miglior attore (Tommy Lee Jones) all’ultimo Festival di Cannes.

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