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Espressionismo al neon

Espressionismo al neon

Ispirato alla omonima fiaba di Hans Christian Andersen, The red shoes traspone all’interno dei luoghi dell’immaginario horror i temi della rapacità, del desiderio e dell’ossessione per il successo. L’ambientazione, tipica dell’horror orientale diventato di fatto un vero e proprio sottogenere, predilige ampi spazi urbani, deserti e notturni, illuminati da una luce fredda dove ogni rumore viene amplificato in modo inquietante. La danza è l’elemento necessario, sia a livello estetico che narrativo, per spiegare la causa della maledizione e la metropolitana il luogo ideale per il ritrovamento delle scarpe rosse (o viola?) che, belle “da morire”, emergono quasi in rilievo cromatico sulla pellicola azzurro-argentata. La protagonista Sun-jae, oculista trentenne che colleziona scarpe come Imelda Marcos, vive in un mondo di allucinazioni popolato da misteriosi fantasmi e oscuri mendicanti attraversando luoghi dove tutto è tecnologico, anche la benda di un occhio ferito dalle schegge di un neon.

Un “ripasso” di stili e tematiche di genere
Il cinema ha più volte ospitato diverse paia di scarpette rosse; protagoniste nel melodramma danzante diretto nel 1948 dalla coppia Michael Powell ed Emeric Pressburger (Red shoes), fatate ne Il Mago di Oz (The Wizard of Oz, Victor Fleming, 1939) e impotenti ai piedi di Laura Dern in Cuore selvaggio (Wild at heart, David Lynch 1990). Le diverse citazioni del genere potrebbero essere sintetizzate con “espressionismo al neon” in cui inquadrature sbilenche, primi piani illuminati dal basso, contrasti di luci e ombre, scale a chiocciola, specchi, occhi sbarrati e immagini sfuocate si combinano con l’uso della macchina a mano e con una fotografia cruda e psichedelica. La brillante messa in scena non è, però, sufficiente se l’idea, peraltro non originale, rimane uno spunto a cui applicare situazioni e tematiche già ampiamente sfruttate. Il filone dell’horror orientale, che ha prodotto notevoli pellicole, su tutte The ring (Ringu, 1998) e Dark water (Honogurai mizu no soko kara, 2002) di Hideo Nakata, sembra ormai inflazionato, privo di idee e ridotto a un “ripasso” degli stilemi di genere che si trascina a fatica per sei lunghi rulli di pellicola.

Curiosità
Durante le riprese sono state utilizzate quaranta paia di scarpe rosse. Il film è stato girato con macchina a mano e successivamente convertito nel formato 2.35:1, ricorrendo a una tecnica digitale che ha permesso di correggere il colore, trattenendo sulla pellicola le particelle argentate per ottenere tonalità meno accese e più crude.

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