Scheletri nell’armadio
Una caduta negli inferi con un rapido ritorno finale alla superficie da parte della famiglia Newman, vittima dell’ego sterminato di Saul, troppo attirato dall’abilità nel compitare di sua figlia Eliza per accorgersi dello stato nel quale sta versando la vita della moglie e del figlio Aaron. Sino a un finale liberatorio nel quale proprio Eliza riuscirà, con doti d’incredibile maturità, a riappacificare gli animi.
La duplice regia di Siegel e McGhee, alla loro seconda prova di coppia dietro la macchina da presa e a tre anni di distanza dal pecedente thriller I segreti del lago (The deep end, 2002), riesce a rendere affascinante la pluricentenaria dottrina ebraica della Cabala, teoria predicata dal filosofo ebreo Abulafia che professa l’importanza delle parole per determinare il significato ultimo del mondo e che qui è seguita da Eliza, partendo dai primi rudimenti sotto lo sguardo partecipe del padre. Anche questa volta i due registi riescono a colpire nel segno, in tal caso a carpire il cuore del bestseller scritto da Myla Goldberg, grazie anche alla sapiente e ben orchestrata sceneggiatura di Naomi Foner, madre degli attori Jake e Maggie Gyllehnaal.
La sceneggiatura riesce là dove era più facile prevedere un fallimento, ovvero nell’impervio tentativo di enfatizzare i dubbi esistenziali di ciascun componente del nucleo familiare, fra i quali quelli religiosi di Aaron, che si pone innumerevoli domande in merito alle imposizioni religiose del padre. Alla fine la sceneggiatura riesce proprio a sottolineare i differenti caratteri e punti di vista, enfatizzando gli aspetti che velocemente rischierebbero di portare la famiglia alla frantumazione, come la scarsa disponibilità di Saul ad accettare le scelte del figlio. Il tutto con poetica e soppesata maturità.
Saul, interpretato da un Richard Gere che pare, con il passare degli anni, aver raggiunto la maturità artistica per calarsi in ruoli decisamente non facili e meno canonici rispetto a quelli ne hanno contrassegnato la carriera. A questa prova d’indubbia efficacia, si aggiungano le interpretazioni altrettanto maiuscole degli altri attori: Juliette Binoche, molto adeguata al ruolo di madre premurosa, Max Minghella, credibile in quello di adolescente problematico e per ultima Flora Cross, caparbia undicenne dalle doti interpretative, capace di dare al personaggio di Eliza uno spessore molto profondo, distaccato e delicato al tempo stesso.
Un film alla fine apprezzabile solo da chi è in grado di distinguere i problemi esistenziali dall’aura di inevitabile misticismo che si viene a creare.
Curiosità
La sceneggiatura del film è tratta dal romanzo La stagione delle api scritto da Myla Goldberg (Fazu Edizioni). Le api (bee) del titolo sono, nel gergo scolastico Usa, i bambini che si cimentano nelle gare di spelling.
A cura di
in sala ::