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Il laureato: trent’anni dopo

Il laureato: trent’anni dopo

E pensare che Misery non deve morire (Misery, 1990) era un buon film dal ritmo incalzante e la tensione narrativa serrata; che Harry ti presento Sally (When Harry Met Sally…, 1989) era commedia di tutto rispetto con battute diventate cult; che La storia fantastica (The Princess Bride, 1987) ha fatto sognare un sacco di bambini e divertito molti adulti; che Stand by me (id., 1986) si guardava con piacere. Rob Reiner non è certo mai stato un regista di quelli con la “r” maiuscola ma, nella sua altalenante carriera, ha dato vita a pellicole più o meno di valore e di interesse. In questo Natale 2005 firma Vizi di famiglia, commediola a tratti grottesca ricca di indolenza e di torpore.

Improbabile sequel de Il laureato, (The Graduate, Mike Nichols, 1967) , il film vede un attempato e sempre un po’ tonto Kevin Kostner nei panni che furono di Dustin Hofman (e questo già la dice lunga!) e Shirley McLaine (che sembra fare la caricatura dei suoi numerosi personaggi cinematografici) in quelli di Anne Bancroft. La fa franca Katherine Ross che nel film di Reiner è morta e ha lasciato il campo alla figlia, una Jennifer Aniston sempre uguale a se stessa, tanto che se ci si distrae per un attimo si può credere di star guardando Friends. Atmosfere super affettate, luoghi e case degne del peggior Truman Show (id., Peter Weir, 1998), coloratamente dislocate a schiera in un’America ricca e senza problemi; feste in smoking e Bloody Mary alle undici di mattina, partite di tennis a tutte le ore e feste di matrimonio imbarazzanti, vallate di un verde innaturale e cieli di un blu altrettanto artefatto. A fare da contorno all’impeccabile quadretto una musica furbetta che va da Cole Porter a Gershwin fino all’indimenticato tema di Casablanca.

Non solo nel linguaggio espressivo e nella forma estetica la pellicola non ha niente da dire né di nuovo da far vedere, ma anche nei contenuti, permeati fino all’osso di un buonismo inquietante in cui tutto, previsto e prevedibile, deve concorrere obbligatoriamente alla creazione dell’american way of life della famiglia bianca della borghesia medio-alta: famiglie inverosimili abitano un mondo frutto della tv e non della realtà, da nascondere piuttosto che da raccontare. Un prodotto medio hollywoodiano, una confezione esternamente ben fatta ma che poi, una volta aperta, risulta vuota. Non c’è Dustin Hoffman, non c’è Anne Bancroft, non ci sono Simon and Garfunkel, non c’è il contesto storico politico che immetteva la pellicola del ’67 nella Storia, rendendo le vicende di vita di un singolo personaggio esempio di più vaste problematiche sociali. Polpettone natalizio da dimenticare. O meglio da non vedere.

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