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Il regalo che ti aspetti

Il regalo che ti aspetti

I replicanti
Il Natale ci ha da tempo abituato a tutta una serie di prodotti non necessariamente di qualità. Non ci scandalizza dunque il fatto che, proprio nel periodo battezzato dal trionfo dei consumi, anche sul grande schermo domini la logica del botteghino. La conseguenza più lampante è il riutilizzo di quei modelli che, almeno per una stagione, hanno dimostrato di conquistare il pubblico. Nascono così i film “replicanti”, figli di uno stesso stampo che, sebbene inizialmente pregno di genialità comica ed ironia, finiscono per esaurirsi in una sbiadita ripetizione di stereotipi consumati. Così stava accadendo anche al lavoro di Leonardo Pieraccioni. Dal debutto alla regia con I laureati (1995) fino al successo indiscusso di Il ciclone (1996) e di Fuochi d’artificio (1997), quel nuovo modo di rappresentare la commedia sentimentale italianizzata dalle ambientazioni, dai personaggi e dall’accento Toscano riscosse i favori del pubblico. Tuttavia la necessità di rendere la produzione delle pellicole sistematica, finì ben presto per togliere freschezza alle trovate del giovane regista. Ne sono un esempio Il Pesce innamorato (1999) e Il principe e il pirata (2001). In quest’ultimo, soprattutto, la scelta di dividere la scena con l’esplosivo Ceccherini non si rivelò certo fruttuosa.

Il segreto nel cameo
Con questa pellicola ritorna invece la comicità genuina e sorprendente dei primi lavori, grazie soprattutto a una riorganizzazione degli attori non protagonisti. Il loro gravitare attorno al personaggio principale dà il ritmo alla trama, rimbalzando lo spettatore da una gag all’altra. Tra i personaggi secondari insolito il ruolo di Panariello e Ceccherini: l’uno, torna a regalare comicità istintiva e commovente grazie al personaggio del fratello “scemo”, l’altro, riabilitato da un ruolo che ne contiene l’irruente presenza scenica, si inoltra persino nella recitazione drammatica, senza convincere troppo.
Lo spazio a loro concesso, in ciascuna apparizione, è poco più di un cameo che consente agli attori comici di brillare, senza togliere luce alla trama che ne esce densa di trovate e leggera allo stesso tempo.

Leonardo malinconico
Per ottenere tale effetto ci si è serviti, inoltre, dell’espediente della malinconia che vela la visione, solitamente spensierata e giocherellona, che Pieraccioni ama dare dell’amore. Probabilmente è per esigenze di copione e per la necessità di mantenere lo spettatore in bilico tra riso e commozione che i personaggi, custodi della comicità, sono completati da un risvolto che sarebbe fuori luogo definire tragico ma che sortisce l’effetto di legarli alla realtà senza far torto alla fantasia. Solo così è possibile trattare temi quali l’abbandono e l’insicurezza adolescenziale senza banalizzarli né, peggio ancora, renderli ridicoli di fronte ad un pubblico composto per metà da teenager. Limati gli eccessi è possibile scivolare con un filo di gas verso il lieto fine che ripaga lo spettatore, se non di tutto il biglietto, visti i costi, almeno di metà.

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