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Viaggio di fusione tra calcio e cinema (primo tempo)

Capostipite di questa rassegna è un film del 1932 intitolato Cinque a zero di Mario Bonnard, divo prestigioso del cinema muto italiano passato alla regia. Nel film il calcio è centrale, ma non esclusivo. E già compaiono alcuni motivi destinati a durare nella rappresentazione cinematografica del calcio: l’ambiente calcistico, i tifosi, le belle donne, il ruolo dei media, l’arbitro. Stereotipi biscardiani. Negli anni Cinquanta esce sugli schermi Gambe d’oro (1958) del regista Turi Vasile, primo film a essere ambientato in Meridione. Impreziosito dalla presenza di Totò, il film propone una simpatica panoramica sui temi del calcio minore. Nel 1963 l’episodio Che vitaccia!, compreso in I mostri (Dino Risi, 1963), narra invece le vicende di un tifoso (Vittorio Gassman) che non riesce a resistere alla passione per lo stadio e spende gli ultimi spiccioli rimasti per andare a vedere la partita. Negli anni Settanta si rintracciano alcune indimenticabili pellicole. Mentre Franco e Ciccio interpretano una delle loro infinite parodie, I due maghi del pallone (Mariano Laurenti, 1970), omaggio a Helenio Herrera, allenatore dell’Inter, e al suo alterego Nereo Rocco, del Milan, Alberto Sordi ne Il presidente del Borgorosso Football Club (Luigi Filippo D’Amico, 1970) è un vulcanico presidente che vuole portare alla vittoria la sua squadra. Nel film c’è pure un cammeo del fantasista juventino Omar Sivori. Poi due episodi curiosi. Il primo è un documentario, Il profeta del goal (1976), che traccia un profilo approfondito del fuoriclasse olandese Johan Cruyff, diretto dal leggendario cronista Sandro Ciotti. Il secondo è un quadretto molto soft che affronta il tema del calcio femminile, Spogliamoci così senza pudor… (Sergio Martino, 1976), con Enrico Montesano.

Ma sono gli anni Ottanta, sull’onda dei successi della nazionale italiana, i veri protagonisti della commedia calcio-cinematografica. Indimenticabili, e diventati col passare del tempo veri cult, titoli come Zucchero, miele e peperoncino (Sergio Martino, 1980) con la contrapposizione tra laziali e romani, Il tifoso, l’arbitro e il calciatore (Pier Francesco Pingitore, 1983) con Pippo Franco e Alvaro Vitali, Paulo Roberto Cotechinho centravanti di sfondamento (Nando Cicero, 1983) dove, ancora, Alvaro Vitali indossa maglietta e calzoncini e prova a proporsi come fuoriclasse straniero o Al bar dello sport (Francesco Massaro, 1983) dove il muto Jerry Calà vince al totocalcio con l’amico Lino Banfi nella cornice torinese. Ma l’apoteosi si raggiunge con L’allenatore nel pallone (Sergio Martino, 1984), film che meglio di tutti sintetizza il cinema di cui si sta discutendo. Oronzo Canà (Lino Banfi), la sua bi-zona e la sua dialettica sono entrati nella storia. Una grande parodia di un mondo già macchiato dal calcio scommesse e dai condizionamenti del diodenaro. Dello stesso regista è pure Mezzo destro, mezzo sinistro – Due calciatori senza pallone (1985) con Gigi e Andrea. Poi ci sono i Vanzina Brothers con due titoli esemplari, I Fichissimi (Carlo Vanzina, 1981) ed Eccezzziunale… veramente (Carlo Vanzina, 1982). Nel primo Jerry Calà e Diego Abatantuono si scontrano/incontrano nella Milano rossonerazzurra, nel secondo Abatantuono è protagonista di tre storie alternate e contemporaneamente è un tifoso di Milan, Inter e Juventus. L’attore è anche protagonista/icona del cinema di Gabriele Salvatores. Sia in Marrakech Express (1989) che in Mediterraneo (1990) il calcio assume connotati simbolici e generazionali. È un momento comunitario, un gioco fra amici, un’emozione da condividere. Un po’ come accade nel cinema di Nanni Moretti. Anche qui i flash sul calcio aiutano a riscrivere l’identikit di una generazione. Da Io sono un autarchico (1976) a [img4]Ecce Bombo (1978) fino a Bianca (1984) e La messa è finita (1985), si sente come il calcio sia in qualche modo esperienza evocativa, nostalgica e custode della memoria. Moretti è capace di inserire tra i miti degli anni Sessanta Altafini e Rivera, mentre considera la Juve, prima del ’68, l’acme della intelligenza collettiva. Sempre a proposito di memoria si possono citare pellicole come Ultimo minuto di Pupi Avati (1987), il calcio visto da dietro le quinte, e Italia-Germania 4-3 (Andrea Barzini, 1990) dove tre amici si ritrovano a vedere la mitica partita del ’70 e parlano della loro vita.

E neppure mancano i film che parlano di violenza. Nel 1988 è Marco Tullio Giordana a dirigere Appuntamento a Liverpool, film che prende spunto dalla tragedia dell’Heysel. Oppure Ultrà (Ricky Tognazzi, 1991) che affronta esplicitamente la questione della violenza negli stadi e accetta il confronto con i giovani che ne sono protagonisti.
Appartenente alla storia più recente, invece, è L’uomo in più (2001) esordio alla regia di Paolo Sorrentino, che mette a confronto i fallimenti e le vicende di un cantante e di un calciatore.

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