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cultura dell'immagine e della parola

Tango: il pallone cinematografico

Il Cinema e il Calcio vivono, hanno vissuto e vivranno sempre, percorsi distinti ma spesso affini. Lo insegna la storia. Quando tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento nascevano le prime sale cinematografiche e le prime squadre di calcio, cominciavano a prendere forma nell’immaginario collettivo italiano, ma non solo, due straordinarie macchine per sognare. Una sviluppata su pellicola e nelle sale, l’altra su un campo di terra e negli stadi. Due mondi diversi, arte e sport, che parallelamente si nutrono della stessa essenza: lo spettacolo.
Seguendo tempi e percorsi diversi, il calcio e il cinema italiani arrivano ai vertici del panorama internazionale: i kolossal mitologici di inizio secolo e la Nazionale di Pozzo due volte campione del mondo, il neorealismo e il Grande Torino, la commedia all’italiana e il calcio all’italiana, Fellini e Antognoni, la sfida con la Germania all’Azteca, Bernardo Bertolucci, il Mundial spagnolo, Salvatores e Benigni, Milan e Juventus sul tetto del mondo e così via. Grande calcio sui nostri campi. Grande cinema sui nostri schermi. Ma non si potrà mai parlare di vera unione.

Pochi film sul calcio ma tanto calcio nei film. Questo è il quadro specifico ricavato dall’unione di queste due forme d’arte e spettacolo. Il cinema, soprattutto in Italia, ha fatto fatica a penetrare l’universo calcistico, riuscendo, invece, piuttosto abilmente a utilizzare le immagini per disegnare quadri di costume, contesti, psicologie e conflitti che attraversavano l’Italia contemporanea. Non si tratta certo di un’operazione facile. Il problema nasce dall’estetica delle due “arti”. Lo spettacolo calcistico nasce dall’improvvisazione del gesto tecnico. L’invenzione di un colpo di tacco o di un tunnel, di un tiro preciso e potente o di una rovesciata, sono colpi di genio che nascono all’improvviso. Sono giocate istintive e non programmabili. Il cinema da quando esiste, nel rappresentare questa forma, ha fallito. Lo sguardo della macchina da presa ha sempre cercato di alternare primi piani che esaltassero le gesta del singolo a campi lunghi che seguissero le geometrie del gioco, ma gli esiti non sono mai stati felici. Il cinema non è mai riuscito a ricreare le emozioni di una partita di calcio, l’atmosfera, la tensione. Il motivo è uno solo: il calcio è irripetibile. Paradossalmente i film più “calciofili” sono quelli di Alfred Hitchcock, dove la suspense è onnipresente e dove non si sa mai cosa possa succedere nella scena successiva. Il calcio segue questo schema in modo anarchico. L’esito di un match è un enigma.

Di fronte alle difficoltà poste da questa contraddizione, il cinema italiano ha preferito aggirare l’ostacolo. Ha spostato cioè l’obbiettivo dal gioco del calcio al calcio come fenomeno di costume. Eppure gli argomenti non mancano. Curiosamente non esiste ad oggi un film degno dell’epopea tragica del Grande Torino, e, curiosamente, l’unico film dedicato al grande evento dei Mondiali di Italia ’90 è Cicciolina e Moana ai mondiali, pellicola hard con le due celebri pornodive. Strano ma vero.

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