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cultura dell'immagine e della parola

L’orizzonte liquido della trasformazione

L’orizzonte liquido della trasformazione

Un vecchio e una fanciulla, il mare e lo sguardo di un ragazzo: Kim Ki-Duk scocca la sua dodicesima freccia e non sbaglia il colpo. Ultimo lungometraggio del regista sudcoreano, presentato durante la scorsa edizione del Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, il film è fatto di un’atmosfera più che di una trama, gli accadimenti esteriori sono ridotti ai minimi termini e tutto quanto avviene è ricostruito per lo spettatore dagli sguardi dei protagonisti (che non proferiscono parola per tutta la durata della pellicola) e dagli indugi della macchina da presa sull’orizzonte liquido che li circonda (li imprigiona?). L’armonica perfezione di questo improbabile microcosmo rappresentato dalla barca e dai suoi abitanti è data e scandita da gesti quotidiani compiuti con orientalissima ritualità: il bagno, la cancellazione dei giorni dal calendario, il contatto di mano prima di addormentarsi. Tutto questo viene incrinato dall’arrivo di un terzo, dall’arrivo della giovinezza che scalza l’infanzia, e come ben sappiamo, non è un processo indolore.

L’arco che dà il titolo è elemento fisico con molteplici funzioni onnipresente nel film: è l’arco che difende la fanciulla dalle attenzioni importune dei pescatori che transitano sull’imbarcazione, è l’arco che predice il futuro, l’arco che produce musica, l’arco che deflora. Il film è stato accusato di autoreferenzialità, e certamente Ki-Duk cita se stesso in diverse occasioni (soprattutto sono da riscontrare notevoli riferimenti a L’IsolaSeom, 1999), ma tutto è funzionale alla storia; non autocompiacimento ma, come sempre, occhio attento alle necessità poetiche del racconto. È un cinema capace di trasmettere veramente un pensiero e delle emozioni attraverso una visione mai scontata, mai banale, in grado di raggiungere rari picchi di intensità e dare forma cinematografica alla poesia pura.

La scena della deflorazione è geniale rappresentazione del passaggio, del mutamento, della trasformazione, e ci ricorda che ogni transizione è un rito, e come tale dovrebbe essere vissuto e guardato: muore (metaforicamente) la bambina e nasce la fanciulla, muore il vecchio e sorge a nuova vita il suo spirito. Ogni cambiamento porta in sé delle resistenze, lacrime e tentativi di fuga, inversioni di ruoli e ritorni al punto di partenza. L’occhio di uno spettatore, il ragazzo, assiste stupito e affascinato al rito di iniziazione e la macchina da presa ci offre ancora una volta la possibilità di vedere ciò che normalmente non vediamo e non vedremmo. Immagini belle e potenti, capaci di suggestionare ed evocare attraverso coraggiose sinestesie. E anche tanta, tanta delicatezza.

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