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Viva la Libertà

Viva la Libertà

Ansia, agitazione, disagio. Sono solamente alcune delle sensazioni che La rosa bianca trasmette fin dal primo istante allo spettatore, catapultato in una realtà che avvolge le coscienze, opprimente. La storia è drammaticamente autentica, non solo perché riguarda fatti realmente accaduti, ma perché i personaggi principali potrebbero essere tra noi, nella loro apparentemente normale quotidianità. La protagonista, Sophie Scholl, è vissuta invece nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Non così lontano da casa nostra e nemmeno molto tempo fa, visto che la piaga della guerra e del regime è ancora nella mente dei nostri concittadini più anziani.
La rosa bianca è un manifesto all’impegno politico e civile, Sophie Scholl una delle poche eroine della resistenza anti-nazista in Germania e parla a tutti noi.

Studentessa universitaria a Monaco di Baviera, lontana dalla famiglia. Una ragazza protestante, vitale e determinata, sempre in compagnia del fratello, con un fidanzato al fronte. La sua colpa è quella di essere un’idealista, amante della libertà. La sua pericolosità sta nel pensiero libero, nei fogli, nel ciclostile, nei francobolli, nelle scritte sui muri. Colpe imperdonabili e temutissime da un qualsiasi regime, pugno di ferro e gambe di carta. La follia totalitaria è tutta qui, in un piccolo spaccato di vita e di furia repressiva. Le libertà di pensiero e di espressione sono il vero metro di valutazione di un ordinamento statale. Un monito a chi oggi passa oltre e prova a sottovalutare: non c’è vita civile senza libertà democratica. Troppi regimi vivono nella cronaca quotidiana i soprusi che noi rievochiamo nei film e nei documentari storici. Ma anche un’indicazione a quanti, da noi, denunciano censura e controllo autoritario senza un senso della misura. I ragazzi dei Monaco finiranno giustiziati. Non c’è mistero, è la storia. I regimi, soprattutto se vacillanti, diventano spietati, ottusi. Marc Rothemund sceglie di centrare il proprio punto di vista sulla figura a un tempo spensierata, umana e granitica di Sophie. Le immagini non si distaccano mai da lei, dai suoi ultimi sei giorni di vita, dal suo viaggio emotivo. Pochissime le scene di esterni, pochi i personaggi. La protagonista, Julia Jentsch, miglior attrice al Festival di Berlino 2005, è la purezza, la semplicità della ragione, la determinazione della coscienza. Di fronte a lei, nei lunghissimi primi piani degli interrogatori, il suo accusatore (interpretato da Alexander Held), emblema della schizofrenia, della perversione totalitaria, dell’irrazionalità. Su tutti la paura: le sorti del mondo si stanno compiendo, il timore per la propria vita è commisurato a quello per la probabile implosione del regime. Tutti temono per se stessi, specialmente i gerarchi, le cui certezze sono basate su ipocrisia e menzogna.

Per lo spettatore, consapevole, è una corsa contro un tempo che non passa mai. «Ma quando arrivano gli Alleati?» è l’ossessiva domanda. Il viso di Sophie sembra illuminarsi, di fronte alla visione dell’attacco aereo sulla sua città. «Libertà!» è il grido che riecheggia, silenzioso, durante tutto il film.
I ragazzi della Rosa Bianca verranno condannati. Morti per un’idea di pace, senza aver mai ucciso nessuno o usato violenza. Hanno solo voluto rispondere, senza rinnegarla, alla loro coscienza e non alla follia della legge. Non è stato invano, dicono. Ed effettivamente, due anni dopo, sul banco degli imputati siederanno proprio i loro carnefici.

Curiosità
Il film segue gli eventi storici in modo dettagliato, a partire dai verbali originali degli interrogatori, resi pubblici solo nel 1990. Può quindi contare su materiali inediti rispetto al precedente film Die weisse Rose (id., Michael Verhoeven, 1982), che si concludeva con l’arresto di Sophie.

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