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cultura dell'immagine e della parola

Sanpaolo: rischiose suggestioni

Cliente: Sanpaolo imprese
Prodotto: Servizi bancari per le imprese
Agenzia: SaffirioTortelliVigoriti
Regia: Marcello Cesena
Direttore creativo: Aurelio Tortelli
Art copy: Mara Mincoletti
Anno: 2005

Un fotogramma dello spotUna stanza bianca. Il rumore del traffico cittadino rimane imprigionato fuori dalle spesse finestre, dalle quali filtrano solo alcuni raggi di luce. L’ambiente è scarno e asettico, c’è solo un cubo in mezzo alla stanza, bianco pure quello. Sopra questa fantomatica sedia è seduta Paola, una graziosa signorina, trucco acqua e sapone, capelli biondi e sorriso dolce. Possiamo rilassarci: è ritornata la campagna pubblicitaria della Sanpaolo Imprese che, come le precedenti, coinvolge all’interno dei suoi spot dei veri dipendenti dell’azienda. Come fosse una equazione algebrica, il claim ce lo ribadisce: “Sanpaolo, meno banca, più Paola”.

Non è semplice pubblicizzare i servizi di un istituto di credito, innanzitutto perché si cercano di promuovere prodotti intangibili, dei quali non possiamo a priori accertarci della qualità. Inoltre, la banca è un ente che, in genere, viene percepito come lontano e ostile ai clienti. Non a caso ultimamente è stato stilato un progetto di comunicazione nei confronti degli utenti dal nome “Patti Chiari” che accomuna tutte quelle banche, tra le quali Sanpaolo, che hanno scelto di darsi delle regole per garantire ai clienti la comprensibilità e la chiarezza delle proprie operazioni. La banca non dovrebbe più essere quel luogo dove ci vogliono truffare perché non conosciamo tutte le sottigliezze dei contratti che ci vengono suggeriti, ma un posto dove si cerca di aiutare i consumatori nella scelta delle alternative migliori. Un riposizionamento certamente non è facile.Il regista, Marcello Cesena

Sanpaolo, in questo caso, ha scelto di utilizzare un metodo noto: impiegare come testimonial persone che fanno realmente parte dell’azienda, dipendenti che possono comunicare allo spettatore un senso di sicurezza e tranquillità, una sorta di rassicurazione. Le persone intervistate sono simili ai membri del pubblico e il rischio di una truffa sembra meno probabile. Una strategia che più volte in pubblicità ha dimostrato la propria efficacia, dal proverbiale fustino del Dash in poi. Se ci parla qualcuno di reale, pulito e sorridente tendiamo ad essere meglio predisposti, anche nei confronti di un istituto bancario. L’intervento della Gialappa’s band rimarca questo intento e, battuta su battuta, il ritmo risulta incalzante, riuscendo a farci ridere degli intervistati, sdrammatizzando la situazione.

Negli altri spot della campagna l’ambientazione rimane la stessa, solo i protagonisti cambiano. In un secondo commercial, il dipendente Domenico parla della sua azienda e ci dice che hanno filiali in tutto il mondo, anche in Cina (e poco importa che i comici lo prendano in giro per la sua buffa pettinatura, più simile ad un tupé che altro). L’immagine dell’impresa sembra essere giustamente trasmessa: La Gialappa s Banduna grande società, simpatica e giovane, ma, allo stesso tempo, seria e ben piazzata sul mercato. In un terzo spot, infine, facciamo la conoscenza di Huang, bancario di origine cinese.

E qui l’osservatore più attento, per restare sulla metafora dell’equazione, potrebbe accorgersi della presenza di una costante: per ben due volte si è parlato della Cina. Questo non è un caso. Il significato è profondo. Ciò che Sanpaolo vuole comunicare è la sua solidità, la sua grandezza e internazionalizzazione, trasmettendo simpatia e disponibilità nei confronti dei suoi clienti.

Da un certo punto di vista, questo riferimento alla Cina può essere considerato efficace. Ci fa capire l’interesse dell’impresa nei confronti dei mutamenti ambientali e la sua comprensione della necessità di essere presenti anche in quel paese, data l’attuale continua espansione del suo sistema produttivo. Ma se cambiamo di poco prospettiva, lo stesso riferimento presenta evidenti controindicazioni. È innegabile che esista una fobia tutta contemporanea legata al mercato cinese, che in un momento di recessione come quello che stiamo vivendo rischia di scatenare nella mente dello spettatore una serie di associazioni sgradevoli: un’economia che sorpassa e ci fa sentire più poveri e meno competitivi, investimenti che si spostano all’estero, [img4]lavoratori sottopagati che loro malgrado diventano concorrenti insuperabili. Viene così alla luce il problema cui va incontro chiunque faccia uso di suggestioni indirette, per definizione potenti ma anche difficili da controllare. Chi sceglie di utilizzarle dovrebbe sapere che l’effetto boomerang è sempre in agguato, soprattutto se il cervello del destinatario della comunicazione è già saturato da stimoli sotterranei e da uno stato d’ansia latente (e questa è l’infelice condizione dell’italiano medio, oggigiorno).

Nel caso specifico di Sanpaolo, la lotta appare epica: i volti rassicuranti degli impiegati e le voci ironiche dei Gialappi da una parte, il peso schiacciante della crisi italiana dall’altra. L’esito è incerto, la reazione del potenziale cliente difficilmente prevedibile.

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