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cultura dell'immagine e della parola

Panta rei

Panta rei

Una considerazione preliminare. Il rischio latente nell’affrontare la forma del documentario è un approccio che legga un film, come Genesis, esclusivamente in funzione del suo valore di divulgazione scientifica. Microcosmos, nel 1996, contribuì a far amare al pubblico in sala una forma di documentario estetizzante, principalmente girata per stupire grazie alla bellezza e all’esotismo di immagini girate “nel giardino dietro casa”. Premiato da pubblico, Microcosmos non ha goduto però dei favori della comunità degli esperti scientifici che ne hanno contestato la mancanza di un valore didattico, non aderendo ai modelli imposti dallo stile BBC. Analogamente altre forme di sperimentazione sul linguaggio documentario, come i film di montaggio di Godfrey Reggio (Anima Mundi, 1991, Koyanisqatsi, 1983), solo per citare un nome noto, dividono il pubblico tra sostenitori e detrattori in un dibattito infinito.

Sarebbe opportuna una seconda annotazione: Genesis può non essere considerato un documentario, o per lo meno, non pretende di esserlo nella sua interezza. La voce narrante o la figura dell’esperto, che spesso sottolinea la propria competenza con un camice bianco o altre forme di riconoscimento visuale, è sostituita da un attore (Sotigui Kouyaté, noto per la lunga collaborazione teatrale con Peter Brook oltre che diversi film) che, vestito con abiti tribali, parla al pubblico interpellandolo direttamente, quasi a voler avere un rapporto uno a uno con ciascun individuo, facendolo regredire allo stato di bambino. Sotigui Kouyaté rappresenta la voce del mito, la saggezza popolare che si fonde con quella scientifica, una voce amica ma superiore che trasporta lo spettatore in un viaggio dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande.
Forse proprio questa vastità di temi trattati è uno dei problemi principali del film. Il mondo di Microcosmos era contenuto in un pezzetto di prato e analizzato in ogni dettaglio, quello di Genesis è ampio ma didascalico ed episodico, oltre a richiedere riprese in Islanda, Madagascar, Galapagos e Polinesia, mettendo in moto una macchina produttiva imponente. Le immagini registrate in natura giocano molto sull’umorismo dello strano, sulla creazione di stupore che il pubblico prova nell’osservare animali ritenuti bizzarri (il Perioftalmo, il pesce che si arrampica sugli alberi) o su comportamenti stupefacenti (i combattimenti dei Granchi violinisti) rischiando però di cadere nell’antropomorfizzazione degli animali come solo nei documentari prodotti dalla Disney si era riuscito. Genesis lascia però insoddisfatti anche per altri motivi: le immagini naturalistiche danno la sensazione di essere di fronte a un Quark condotto da un anziano capo tribù africano che ha tanto carisma quanto Piero Angela, forse più saggezza, ma (e qui si ritorna sul problema della valenza scientifica) non altrettanta competenza nel parlare di come è nato l’universo. In altre parole, passato il fascino iniziale nei confronti del personaggio narrante torniamo a invocare l’Angela dell’occasione. In bilico fra documentario didattico ed estetico, Genesis non sa trovare una strada precisa da seguire, confondendo i mezzi con gli scopi, disorientando lo spettatore.

Suggestive le musiche di Bruno Coulais, soprattutto in alcuni episodi come la danza d’amore dei ragni dalle gambe lunghe e i combattimenti degli iguana marini. Coulais era già stato autore delle musiche di Microcosmos e del bellissimo Himalaya, l’infanzia di un capo (Himalaya, l’enfance d’un chef, Eric Valli (1999), esempio di come un film possa essere un documentario o un documentario diventare un film. Ma questa è un’altra storia.

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